Bambini cattivi? Arrivava Ebe!
di Paolo Grandi
Per noi bambini dei primi anni ‘60 esisteva un metodo infallibile a disposizione delle nostre mamme per farci passare ogni genere di capricci o di intemperanze: bastava un nome brevissimo e palindromo: Ebe, e l’ordine ritornava a regnare in casa. Certo, andavamo a letto dopo Carosello e senz’altro eravamo meno smaliziati dei bambini di oggi, ma tanto era.
Ebe era Ebe Mattioli, Ebe ‘d Ceschi, una donna alta, robusta, dal viso sempre serio. Non si era sposata e viveva nelle case di Via Mazzini costruite nel dopoguerra dall’UNNRA col fratello Dino impiegato in Comune; oggi la potremmo paragonare ad una delle protagoniste della trasmissione televisiva SOS TATA, ma i suoi metodi erano, come dire, un po’ diversi. Ebe infatti, per noi bambini, era quella che prendeva i bimbi cattivi, li bolliva in una caldaia e ne faceva sapone. (beh, il ricordo della Cianciulli da Reggio Emilia era vicino!) Ma il problema era che lei, la parte, la recitava benissimo e vi si era completamente immedesimata, ergendosi ad efficace paladino delle mamme!
Così quando la mamma, esasperata, ricorreva alle parole “chiamo Ebe”, smettevi di frignare e ti andavi a nascondere da qualche parte, ma spesso capitava ben di peggio! Non era raro incontrarsela per Castello, in piazza o sotto i portici; lei si avvicinava e, aggrottando le ciglia con fare inquisitorio ed il dito puntato iniziava: “È buono quel bambino?” e magari cominciava pure a prenderti per un braccio, continuando “Se è cattivo o ha fatto il cattivo lo prendo subito con me. Ne ho altri dieci a casa che adesso sono là che piangono e cercano la mamma perché hanno fatto i cattivi e sanno che quando arrivo a casa li faccio bollire nell’acqua e faccio il sapone!”. Che fare? Innanzitutto ti nascondevi tra le gonne della mamma, poi speravi che lei dicesse subito a Ebe: “Grazie, il bambino è buono, ma lo sa che se fa il cattivo….” Così Ebe se ne andava non senza il monito “Va bene, ma attento, perché sei fai il cattivo ti vengo a prendere anche da casa”.
Ed effettivamente una volta beh, ho rischiato di finire nel pentolone!
Tutti conoscono la mia smisurata passione per i modellini ferroviari e la mia prima ferrovia in miniatura data della Befana del 1965. Naturalmente era mio desiderio ampliare la collezione che già si era allargata col trenino appartenuto a mio fratello. Etna, la merciaia della piazza, vendeva anche i giocattoli ed aveva sempre in vetrina qualche treno elettrico. Non so come e perché un giorno mi impuntai e iniziai a fare capricci per avere un trenino. Peccato che nel mentre passasse Ebe, puntuale come un vigile urbano quando hai la macchina in divieto di sosta; senza dire nulla, mi prese per un braccio e mia mamma mi lasciò “Adesso ti porto là a far del sapone!” e feci qualche passo trascinato da lei finché non smisi di frignare e mia mamma mi venne a recuperare. Non ricordo bene ma forse i pantaloni, portati sempre a metà gamba con i calzini lunghi di cotone anche d’inverno (e fino in prima media!) erano un po’ bagnati….
Per arricchire la mia collezione il trenino aspettò la bontà infinita di mia zia Virginia e qualche anno ancora, quelli che furono necessari perché Ebe smettesse di farmi paura.
Contributo originale per “La storia di Castel Bolognese”.
Per citare questo articolo:
Paolo Grandi, Bambini cattivi? Arrivava Ebe!, in https://www.castelbolognese.org
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