Il maestro Panazza, con lui la scuola educava alla vita
Un ex-allievo: “Castello dovrebbe dedicargli una via”.
Faenza. “Sono venuto a Castel Bolognese per la commemorazione dei defunti e, dopo aver notato l’espansione urbanistica in atto anche nell’area vicina al Cimitero, mi è venuta l’idea di suggerire agli amministratori del paese, in cui abitai con la mia famiglia negli anni ’30 e ‘40, di intitolare una delle nuove strade al mio indimenticabile maestro Panazza”.
E’ Sauro Montevecchi che parla rievocando non senza emozione personaggi ed avvenimenti che vorrebbe sempre impressi nella memoria dei castellani. Montevecchi ora abita a Faenza dove ha dedicato tutta la vita all’insegnamento nella scuola elementare ed ogni anno per i Morti (come si è soliti dire) viene al Cimitero di Castello per rendere omaggio a Vincenzo Panazza (1878-1938) perché, egli stesso sottolinea “fu un grande educatore a cui mi sono sempre richiamato non per imitarlo (i suoi carismi erano insuperabili), ma per essergli riconoscente di avermi trasmesso l’esempio di una didattica pratica alla quale soltanto sono dovuti gli eventuali meriti che i miei ex scolari potrebbero attribuirmi”.
Lucidi ed affettuosi sono i ricordi di Montevecchi: la scuola di Castello ancora ubicata in piazza all’ombra della Torre negli anni ’30, i maestri e i bidelli, la direttrice Santini, i compagni di classe, scomparsi o ancora viventi, tra i quali Vincenzo Budini, Mario Costa, Natale Dall’Arno, Primo Garofani, Osvaldo Lega, Domenico Minardi, Gastone Raccagna.
Il Maestro Panazza era formidabile nell’insegnamento della matematica e delle scienze naturali e sapeva coinvolgere la classe in sperimentazioni istruttive ed entusiasmanti come la ricostruzione in aula di un vulcano in eruzione. La sua preparazione letteraria non era da meno. Amava il Pascoli e lo leggeva con una partecipazione tale da appassionare il suo giovane uditorio. Questo, poi, veniva coinvolto nella recitazione dei passi più famosi dei ‘Promessi Sposi’ con la regia del maestro improvvisatosi attore. Panazza, inoltre, aveva Dante nel sangue. A Cesena, ove esordì nell’insegnamento dopo aver fatto il vetturale, incantava le platee in pubblici appuntamenti con le letture dantesche: nella sua ricca biblioteca non mancava la Divina Commedia illustrata dal Dorè.
In una scuola impostata a quei tempi sulla concezione severa dei meriti e della disciplina, Vincenzo Panazza fu precursore di più moderni orientamenti pedagogici. Sauro Montevecchi sottolinea il metodo innovatore di un maestro che amava trattare i suoi alunni sul piano dell’uguaglianza, educarli all’autogoverno ed anche al risparmio. A questo proposito ricorda il coinvolgimento della classe nel deposito dei piccoli risparmi in un libretto ove si raccolse la bella cifra di mille lire con il contributo del maestro stesso, che per raggiungere l’obiettivo si privò di sigaro e di caffè. L’avvenimento fu poi festeggiato con una gita a piedi a Riolo attraverso le colline con sosta alla Serra, per vedere i celebri vulcanetti soprannominati in dialetto buldùr. Vincenzo Panazza era da tutti i castellani stimato per meriti e per probità perché, come recita l’epigrafe incisa sulla sua tomba, “visse sempre del proprio lavoro e del risparmio di tre generazioni faticosamente raccolto”. Fu un socialista di vecchio stampo e ricoprì cariche pubbliche certamente prima del fascismo, che si rassegnò a rispettarlo anche se non ebbe mai l’onore della sua tessera.
“In tempi di imperialismo – Montevecchi ricorda – Vincenzo Panazza in classe non pronunciò mai il nome di Mussolini, ma dal nostro insegnante abbiamo imparato la democrazia”.
Il desiderio di intitolare una strada di Castel Bolognese a questo personaggio forse non potrà essere esaudito, perché esiste già nel centro storico una via dedicata ad un castellano, di nome Panazza, che si rese illustre nel ‘700. Sauro Montevecchi è tuttavia pago di esortare da Faenza i castellani a tenere in gran conto la memoria di quanti fra loro sono stati i migliori anche senza avere ottenuto titoli o medaglie.
Stefano Borghesi
Testo tratto da Sette Sere del 4 dicembre 1999; foto a cura di Andrea Soglia (2010)
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