Chiesa di San Petronio: storia dell’edificio
La prima chiesa
Si deve senza dubbio ai bolognesi la costruzione della prima chiesa all’interno del Castello da loro fondato sul finire del XIV secolo, se non altro per la sua intitolazione al santo protettore della città felsinea: San Petronio. Scrive padre Gaddoni: Esisteva nel 1396 e a primo rettore è ricordato nel 1405 Bartolomeo Scardovi. Il terreno sul quale fu fabbricato il castello apparteneva alla pieve e parrocchia di Campiano, e rimane incerto se la nuova rettoria dipendesse da detta pieve o direttamente dalla Curia Vescovile di Imola. La chiesa sorse nel centro dell’antico castello in proporzioni modeste, ma i fedeli vi eleggevano comunque l’ultima loro dimora. Nel 1574, dice ancora il Gaddoni, correva la tradizione che la prima chiesa esistesse a destra entrando, nel sito della terza cappella, eretta ad onore di Santa Caterina. Questa modesta costruzione non rimase a lungo perchè sul finire dell’anno 1427 o in principio dell’anno successivo furono gettate le fondamenta della nuova fabbrica.
La seconda chiesa
Un atto del 25 febbraio 1428 offre notizie sulla costruzione della nuova chiesa affidata a mastro Giovanni del fu Guglielmo alias nuncupatus Dal Palladio muratore bolognese: davanti a Giovanni Panzacchi podestà di Castel Bolognese egli promette a don Bernardo rettore di San Petronio, e ser Nunzio di Biancanigo a ser Giorgio da Tebano ed a Gualtiero Gualtieri di Limadizzo sindaci della chiesa di edificarla e terminarla con tutte le cappelle già incominciate, innalzando i muri entro il successivo mese di marzo. Per il collaudo della fabbrica, dopo cinque anni, sarebbero stati scelti due maestri, secondo gli Statuti di Bologna. A dieci anni dall’inizio dei lavori, benché la chiesa fosse già stata costruita, erano ancora necessarie altre opere per il suo completamento, tanto che con rogito dell’8 gennaio 1438 rettore e sindaci vendono terreni della prebenda per affrontare la spesa della costruzione della torre campanaria.
Non resta un elenco di tutte le cappelle od altari costruiti nei primi tempi in detta chiesa: si hanno notizie solo della cappella della Madonna, di cui è fatto cenno nel 1428, della cappella di S. Gregorio, nel 1449, di quella di S. Lorenzo, con beneficio, nel 1453, e di S. Andrea, pure con beneficio, nel 1497. Lasciti, donazioni, elezioni di sepoltura, paci ed altri avvenimenti di minore importanza ricordano la chiesa nei secoli XV – XVI.
L’interno era a tre navate, tutte a volta, compreso il coro, e sufficientemente vasta. Tre colonne per parte sorreggevano la navata mediana; gli altari laterali, di marmo o pietra serena, erano aderenti al muro delle due navate secondarie, sotto le quali erano otto cappelle. Cinque finestre illuminavano la chiesa nel 1698; non sappiamo se esse conservassero la forma primitiva o avessero subito un ampliamento, ordinato nel 1574, anno in cui si trovavano vetrate con orticoli. Dal lato dell’epistola dell’altare maggiore stava la sacrestia, costruita a volta ma ristretta; e dietro ad essa, ad est, sorgeva il campanile.
La facciata della chiesa guardava a ponente,e la porta fin dal 1574 era ornata di stipite, con sopra l’immagine di San Petronio. La stessa facciata si vuole nel 1616 restaurata e colorata in rosso, nonostante che fosse senza intonaco, come era tutto l’esterno della chiesa.; altri notevoli restauri furono compiuti da mastro Saulo e figlio, muratori milanesi, sotto l’arciprelatura di Pier Carlo Guarini (1678-1694).
L’altare maggiore in origine era in fondo al coro aderente al muro: l’abside di forma semicircolare era decorata di sacre immagini. Attorno al 1574, durante la visita pastorale, l’altare maggiore venne trasportato nel mezzo della cappella maggiore e gli affreschi dell’abside furono in quell’epoca ravvivati nei colori. In una nicchia ricavata dal lato dell’epistola dell’altare maggiore fu dapprima custodita la Colonna del Gargano. Portandosi alla porta della chiesa, a sinistra entrando è descritta nel 1653 un’acquasantiera di marmo; a destra si trovava anticamente il fonte battesimale, con sopra, dipinta sul muro, una Madonna sotto la quale era il battesimo di Gesù. Questo affresco era talmente rovinato nel 1564 che aveva bisogno di essere ridipinto. Il fonte venne ricostruito pochi anni dopo a sinistra entrando, ed anche su di esso si trovavano affrescate, entro un vano nel muro, varie immagini sacre, assai antiche. Fu dipinto inoltre il battesimo di Gesù e si ordinò che fosse ricoperto con un baldacchino di tela o di legno colorato. Il Visitatore Apostolico, ordinò di fare un nuovo battistero di marmo o pietra, isolato e circondato all’intorno da balaustra della stessa materia ed ai lavori vi fu posta mano nel 1574 riuscendo un’opera degna di quel tempo e della bella chiesa. Nel 1740 fu ordinato di completare il balaustro all’intorno, costruito solo verso la navata mediana, ovvero di trasportare lo stesso fonte aderente al muro della facciata o della parete laterale.
Il primo altare a destra era dedicato a Santa Maria morta cioè all’Assunzione di Maria Vergine e se ne fa cenno nel documento del 25 febbraio 1428, che riguarda la costruzione della chiesa e delle sue cappelle. Il nome del fondatore, Pietro di Biancanigo, era stato scritto sopra la parete dell’altare insieme con la data: 1432 die quarta novembris, che indicava l’epoca in cui fu ultimata la cappella. Le immagini affrescate, che ne erano l’ornamento, conciliavano l’animo alla devozione e invitavano alla preghiera; ma nel 1574, 1612 e 1616 erano così deperite che i visitatori di quegli anni ne ordinarono il restauro. Rappresentavano “La B. Vergine quando uscì di questa vita; il suo sacro corpo era circondato da Angeli e Santi” Nel 1698 l’altare era provveduto da Michele Caglia, il quale faceva celebrare la festa dell’Assunta; dopo la morte del benefattore non trovandosi chi pensasse alla sua manutenzione, fu demolito e sostituito con un confessionale. Il secondo altre era dedicato a S. Nicolò, la cui immagine era affrescata sul muro insieme a S. Sebastiano, ai lati della Vergine, che portava il Santo Bambino in piedi. Più sopra, a parte, era rappresentato Gesù morto con la Vergine Addolorata e S. Giovanni Evangelista. Questo altare fu in seguito dedicato a S. Francesco Saverio, a S. Sebastiano e a S. Maria Maddalena, per benefizi e legati ivi eretti e fatti dalla nobile famiglia Ginnasi. Ogni anno gli scolari di Castello vi festeggiavano il loro patrono, S. Nicolò. Il terzo altare fu per molto tempo di giuspatronato della distinta famiglia Pantaluppi. Come s’è sopra accennato, si diceva essere questo il sito su cui sorgeva la prima chiesa di S. Petronio. Nel 1574 il Visitatore Apostolico ebbe speciali attenzioni per questa cappella: la volle decorata ed ornata più delle altre ed ordinò il restauro della tavola, collocata sopra l’altare che nel 1653 viene descritta come molto antica e con varie immagini di santi. Una nicchia, situata dal lato sinistro, conteneva la statua di S. Caterina; dal lato desto era una porta che immetteva nell’andito della canonica, di fronte alla scala. Il quarto altare lo troviamo dedicato a San Girolamo nel 1564 e nel 1619; ma in quest’anno era stata trasportata su di esso una devota immagine della Madonna. Due anni dopo è detto dedicato alla B. Vergine della Consolazione ed a San Carlo Borromeo, canonizzato nel 1610. La Madonna, in atto di abbracciare il Bambino, non era dipinta su tela o su tavola, ma sul muro, come si rileva dalle parole seguenti, scritte nella visita del 1653: “Loco iconis in pariete depista est imago B. Virginia infantem Juesum amplexantis”. L’immagine, probabilmente in venerazione in qualche parete della chiesa, era stata levata tagliando il muro, ed ivi posta, venne ornata con cornice di legno, dorata e dipinta. Il 6 maggio 1684 fu eretta a detto altare la Confraternita della Cintura, per cui prese il nome della B. Vergine della Consolazione.
Passando alla parte opposta, e cominciando dal primo altare della navata sinistra, lo troviamo dedicato a S. Andrea Apostolo; esisteva nel 1497, come si è detto, e restò sino al 1574. Il secondo, sotto la navata laterale e di fronte all’altare della Cintura, dedicato a S. Bartolomeo Apostolo, aveva sulla parete affrescate le immagini della Madonna e di vari Santi, compresa quella del titolare, affreschi che circa il 1653, quando fu posta ivi in venerazione la colonna, detta di S. Michele Arcangelo, vennero sostituiti da un nuovo quadro, in cui erano raffigurati i Santi Bartolomeo e Giorgio e gli Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele, oltre la Vergine in gloria con il Santo Bambino. L’arciprete Francesco Caglia cedette il giuspatronato della Cappella alla nobile famiglia Rondinini dimorante a Roma, fra il 1698 ed il 1740. Seguiva la cappella di S. Vincenzo o della Concezione sopra il cui altare erano pure affrescate immagini. Nel 1653 e dopo, era dedicato a S. Carlo, con un quadro raffigurante la Vergine col Bambino accarezzato da Giovanni Battista ed i santi Petronio e Carlo e divenne giuspatronato della famiglia Tabanelli. L’altare attiguo, andando sempre verso il battistero, dedicato a San Giovanni Battista 1574, viene trasformato in quello di S. Margherita, che prima era venerata a sinistra entrando e a quanto sembra, presso la pila dell’acqua santa. Di fronte all’altare della Madonna Morta si trovava l’altare di Sant’Antonio Abate, soppresso quando ivi fu trasportato il battistero.
Numerosi sepolcreti esistevano nella chiesa nel 1698.
La costruzione della terza ed attuale chiesa
Per il terremoto orribile sentitosi la sera delli 4 aprile 1781 rimasero sconcertati e ruinati molti Edifici di questo nostro Castello, e segnatamente quello della Chiesa Arcipretale di San Petronio in guisa che essendosi dall’E.mo e Rev.mo nostro Vescovo il Sig. Cardinale Giancarlo Bandi riconosciuto inopportuno il rifacimento del medesimo, tanto più che non era in oggi più capace di tutto il Popolo, pensò piuttosto di farlo atterrare afatto e farne riedificarne altro nuovo. Inizia così il libro della Fabbrica della chiesa di San Petronio, con la riunione dei Deputati dell’Assunteria il 31 maggio 1783. Effettivamente, la vecchia chiesa aveva subito danni dal terremoto, ma fu soprattutto la voglia di un tempio più moderno e più capace che spinse i castellani, con la scusa dell’irreparabilità delle lesioni telluriche, a fabbricare la nuova chiesa. Per la costruzione si stimò una spesa di circa 13.000 scudi, eccetto la facciata, ed il Vescovo di Imola, card. Bandi, provvide a tassare le cinque Confraternite cittadine per dieci anni in questo modo: la Confraternita di S. Maria dello Spedale 200 scudi annui, quella del Rosario 100, quella del Santissimo Sacramento 80 scudi, altrettanto quella del Suffragio e quella di Santa Croce 190 scudi. Provvide poi a tassare di 1.000 scudi gli Arcipreti di San Petronio, ottenendo così poco più della metà della spesa. Occorreva ora alla Fabbrica trovare le ulteriori risorse; questa presentò al Vescovo un piano economico basato in gran parte sulla economia delle candele e delle torce da accendersi durante le Messe, gli Uffici Funebri, le Funzioni e le Processioni in tutte le chiese cittadine rette dal clero secolare. Si sospese pure la distribuzione delle candele per la festa della “Candelora” il 2 febbraio nonché le oblazioni di cera, che solevano farsi in occasione delle Processioni alle Immagini portate nelle rispettive Chiese. Furono parimenti sospesi i versamenti in denaro che le cinque Confraternite eseguivano al Monte di Pietà, salvo le elemosine antiche solite darsi alle Confraternite al medesimo Sacro Monte per la solennità della Pasqua e quelle che per instituto, e per consuetudine sogliono darsi dalle Confraternite ai poveri viventi, o per mezzo di messe, e suffragij ai poveri morti. Parimenti furono sospese le elemosine dotali per quelle Zitelle che avessero avuto uguali sussidi da altre Pie Istituzioni cittadine. Nessuna dilazione nei pagamenti avrebbero dovuto più concedere le cinque Confraternite ai loro debitori, né le stesse avrebbero potuto destinare denaro per spese straordinarie salvo quelle per concime e bonifica dei terreni. Fu inoltre stabilito che la contabilità delle cinque Confraternite fosse esibita alla Fabbrica per verificare l’esatta osservanza del piano economico e che gli avanzi di cassa fossero versati alla Depositeria della Fabbrica. Infine, furono esentate dall’affluire nella cassa della Fabbrica le elemosine del popolo verso le Immagini della Vergine e fu deciso di prendere opportuni accordi col Padre Guardiano della chiesa di San Francesco riguardo la sospensione delle offerte in cera alle Immagini della Vergine per ciò che riguardava l’Immacolata Concezione e le Processioni di Pentecoste con le relative soste nelle rispettive Chiese delle Confraternite.
Nel pomeriggio di domenica 27 luglio 1783 il vescovo Card. Giancarlo Bandi giunse a Castel Bolognese assieme all’architetto Cosimo Morelli per incontrare i Deputati della Fabbrica e presentare loro il progetto della nuova chiesa ed in primo luogo del Sig. Cav. Morelli fù fatta vedere la pianta da lui novellamente formata della nuova chiesa da costruirsi, e che dopo sua Em.za fù approvata dal Sig. Arciprete, e suo Coadiutore, e dalli Sig.ri Deputati suddetti. A misure fatte, si scoprì che il nuovo Edificio Sacro era più largo del precedente e, pertanto si sarebbe dovuto occupare il vicolo posto sul lato settentrionale della chiesa ed acquistare una casa ed il retrostante cortile coi fienili, per realizzare il nuovo vicolo. Nella nuova chiesa, infine, non sarebbe più stato permesso seppellire i defunti ed anzi, prima della sua edificazione, era necessario bonificare il terreno ed esumare i corpi sepoltivi in tre secoli, depositandone i resti in un nuovo cimitero che, venne stabilito, sarebbe dovuto sorgere nella Rocca. Fu infine approvato di aprire una fornace al di là del canale, in faccia all’orto detto della Masone, aprendo per uso della fabbrica un foro nelle mura per il più comodo trasporto de’ materiali, quale foro doverà poi chiudersi a spese della Economia terminata, che sarà la chiesa.
Il 12 settembre 1783 mastro Francesco Dalrè, vincitore dell’appalto per la costruzione della nuova chiesa, iniziò la demolizione della vecchia facendosi dalla Sacrestia ed aprendo nelle mura del Castello il passaggio per far venire i mattoni dalla fornace alla Fabbrica. Nel frattempo le suppellettili presenti in San Petronio furono asportate per essere conservate altrove; molte di queste si riunirono in Santa Maria dello Spedale, chiesa che servì da Parrocchiale negli anni della ricostruzione, altre in Canonica. Un confessionale fu trasportato nella Chiesa del Pio Suffragio, un altro in San Sebastiano. Altre cose furono consegnate alle famiglie che avevano il giuspatronato sopra Cappelle ed Altari. In particolare, il pulpito ed il quadro di San Girolamo furono fatti portare presso il Palazzo Municipale, la Colonna del Gargano con l’ancona dell’altare ed altre sue suppellettili a palazzo Zacchia-Rondinini, l’ancona dell’altare di San Filippo e Carlo con tutte le relative suppellettili a casa Tabanelli, l’ancona dell’altare di Santa Margherita con le relative suppellettili a Palazzo Pallantieri, l’ancona dell’altare di San Nicolò con le relative suppellettili a Palazzo Ginnasi ed infine l’ancona di Santa Caterina con le relative suppellettili a casa Naldi.
Il 2 ottobre 1783 il Vescovo Bandi giunse a Castel Bolognese per benedire solennemente il sito del nuovo Cimitero, nella rocca, presente numeroso popolo; il successivo giorno 20 ottobre tornò per visitare i lavori al nuovo cimitero ed il luogo destinato alla fornace. Iniziarono poi i riti per la posa della prima pietra. Dapprima l’Arciprete Andrea Pozzetti, nel giorno di domenica 26 ottobre 1783 benedì solennemente il terreno ove sarebbe sorto il Tempio; questa la cronaca: partitosi processionalmente dalla Chiesa di S. Maria della Misericordia con in mano una Croce di legno in mezzo a due torcie, e preceduto da un chierico continuamente incensante, accompagnato dal clero, e numeroso popolo, suonandosi sempre le pubbliche campane, si portò al luogo della nuova fabbrica, cantandosi l’inno sacro Vexilla Regis prodeunt; ed ivi giunto, collocò la S. Croce in terra inalberata nel luogo, in cui secondo il disegno dovrà eriggersi l’altare Maggiore; ed incensata, ivi la lasciò. Consta di questo atto ai rogiti del Notaio Eccellentissimo Sig. Dottore Luigi Bianconcini, indi seguì il solenne rito della posa della prima pietra, presente il Vescovo, il giorno 29 ottobre. La mattina del giorno 29 ottobre 1783 circa le ore 16 l’Em.mo, e Rev.mo Sig. Card.le Giancarlo Bandi Vescovo d’Imola, e zio materno del regnante N. S. Papa Pio VI, venuto a questo fine a Castelbolognese, e smontato alla Canonica Arcipretale, ivi vestitosi de’ Paramenti Pontificali, assistito da due R.mi Signori Capitolari d’Imola, Decano Jacopo Filippo Porzi e Canonico Valeriano Tampieri, incontrato, e servito da questo clero, in presenza di copioso popolo, compì secondo il rito di S. Chiesa la solenne funzione di benedire la prima pietra a questa chiesa che si stà fabbricando, di S. Petronio, nostra Matrice Arcipretale: e disceso ne fondamenti scavati per le prime colonne laterali dalla parte del Vangelo, ivi nell’angolo tra Ponente, e settentrione collocò detta prima pietra, prima da Lui benedetta, e sopra di essa collocò pure una scatola di piombo con entro Sacre Reliquie di Santi Martiri, e due Agnus Dei Papali, con una medaglia di onore, in cui erano incise le iscrizioni, come qui sotto. Indi benedì d’ogni intorno i fondamenti parte posti, parte scavati e in parte disegnati; e finalmente diede la Sua Pastorale Benedizione annunciandosi dal Sig. Decano la indulgenza di cento giorni, che l’Em.za Sua Rev.ma concesse al popolo presente. Poscia col canto del Te Deum ritornò Sua Em.za alla Canonica suddetta, dove deposti li Paramenti Pontificali, e rivestitosi da viaggio, se ne ritornò alla Città d’Imola. Di questo solenne atto ne fece rogito l’Ec.mo Sig. dott. Luigi Bianconcini Notaio. Il tutto sia a maggior gloria del Sig. Dio, e ad onore del glorioso Nostro Protettore S. Petronio.
I lavori di falegnameria furono affidati il 3 agosto 1784 ai mastri Luigi Baccarini e Giovanni Cani e quelli di fabbro il successivo 28 agosto a mastro Santi Pirazzoli, tutti di Castel Bolognese; quest’ultimo ottenne la commessa per aver offerto due successivi ribassi d’asta sui primi aggiudicatari, i mastri Tagliaferri e Rinaldi sempre di Castel Bolognese.
Le opere murarie crescevano e, a poco più di un anno dalla posa della prima pietra, erano già terminati coro e presbiterio tanto che la Fabbrica fu chiamata, nella seduta del 23 dicembre 1784, a decidere se dipingere o meno le opere compiute; fu deciso di accondiscendere al progetto del Morelli incaricando un pittore di procedervi. Quattro furono i preventivi giunti alla Fabbrica e questa scelse quello di Luigi Gallignani di Faenza per le buone informazioni avute da una lettera, esibita dallo stesso, redatta dall’architetto Giuseppe Pistocchi; vollero tuttavia sentire il parere dell’architetto Cosimo Morelli. Egli fu di contrario avviso, indicando gli imolesi Alessandro Dalla Nave ed Antonio Villa, cosicché la decisione fu rimessa al Vescovo che decise per questi ultimi, ma solo il 24 aprile 1785. Parimenti, nella riunione del 12 febbraio 1785 fu deciso di affidare le stuccature dei capitelli a tal mastro Fossati al prezzo di scudi 1.30 per ogni capitello.
Il 25 agosto 1785 il vescovo, Cardinale Gregorio Barnaba Chiaramonti visitò il cantiere il quale osservò la fabbrica di cui si mostrò soddisfatto, come pure della pittura delle volte del coro, e Presbiterio. Successivamente il Prelato fece visita al nuovo cimitero.
Il 22 ottobre 1785 il coperto della chiesa era terminato e l’arciprete Paolo Andrea Camerini, su incarico del Vescovo, benedì in Santa Maria la croce di ferro che venne posta sulla facciata. Questa la cronaca: dopo le ore 21 il sig. Arciprete Camerini coadiutore con facoltà speciale di Mons.re Vicario generale benedì solennemente la gran croce di ferro, che subito con solenne processione, intervento di numeroso Clero Secolare, e tutte le Confraternite, cantandosi l’inno Vexilla Regis prodeunt, accompagnata da divoto popolo per mano de’ Chierici in Chiesa, e de’ Confratelli a vicenda, e sempre sostenuta da due sacerdoti in cotta, e stola, fù portata dentro la nuova chiesa ed ivi incensata fù alzata contandosi da tutti inginocchiati il versetto O Crux ave spes unica salutata fra tanto con sbaro di mortari, e moschetti. Per mano poi d’un sacerdote in cotta e stola coll’ajuto de fabbricieri fù subito collocata su la cima della facciata, e di nuovo incensata dal sig. Arciprete come sopra. Ogni Confraternita mandò ad accompagnarla due primari officali con le torcie. Indi col canto del Te Deum ritornò la processione alla chiesa di S. Maria a maggiore gloria di Dio, e con allegrezza universale.
Nel gennaio del 1786 i lavori murari erano terminati, tanto che si discusse se il pulpito dovesse essere costruito a spese della Fabbrica, come sarebbe poi stato fatto, od a spese della Comunità come quello della precedente chiesa. V’era inoltre il problema della costruzione delle cantorie che il capomastro Dalrè insisteva fossero costruite in legno, come poi verranno eseguite, sopra un disegno però diverso da quello ideato dal Morelli. Fu infine deciso che al termine delle navate laterali fossero fatti costruire due ornati con monumenti allusivi, il primo a ricordo del vescovo Bandi sotto il quale prese inizio la fabbrica, il secondo a ricordo del vescovo Chiaramonti sotto il quale fu terminata. Nel successivo mese di marzo l’attenzione dei Deputati della Fabbrica si concentrò sull’allocazione del fonte battesimale, che Cosimo Morelli aveva previsto in una piccola Cappella posta a fianco dell’ingresso a settentrione, ove ancora si trova. Tale disposizione venne approvata sia dal Vescovo che dall’Arciprete e, pertanto venne ratificata dalla Fabbrica che ordinò di collocarvi la pila antica sopra nuovo decente piede di sasso, e che la pila, la quale nella chiesa vecchia serviva da Aquasanctario si faccia servire per catino su cui versasi l’aqua, che si adoprerà in battezzare con farla ridurre a quel commodo, che perciò è necessario. Venne infine riferito che il capomastro Dalrè aveva inteso essere precisa intenzione dell’Architetto Morelli che le colonne ed i pilastri della chiesa fossero tutti dipinti a fine scannellature, ma la Fabbrica, che trovatasi in quel momento priva di denaro, decise invece per la sola imbiancatura valutando altresì che, diversamente, si sarebbe tolta luce alla chiesa. Infine si trattò degli altari laterali; a tal proposito, v’è da riferire che due anni prima il Marchese Rondinini si fece promotore, tramite l’Arciprete, della costruzione di un’apposita Cappella, in appendice alla chiesa, dedicata a San Michele ove degnamente ospitarvi la Colonna del Gargano; ritenendo prematuro parlarne, la Fabbrica rinviò ad un momento successivo il discuterne ed ora pareva giunto il momento di saggiare le volontà del Marchese e fu perciò deliberato di scrivergli.
Nella seduta del 16 maggio 1786 il pittore Antonio Villa mostrò il disegno dell’ornato a stucco da servirsi di cornice al quadro dell’altare maggiore e consigliò di eseguire l’opera in quel momento, poiché erano ancora montate le impalcature. I Deputati approvarono, ma gli raccomandarono la massima economia. Parimenti fu commissionato a Don Domenico Francesco Emiliani ed a Matteo Contoli di ordinare il nuovo quadro per l’altare maggiore, che fu poi commissionato ad Angelo Gottarelli. A giugno dello stesso anno i pittori avevano iniziato ad eseguire l’ornato dell’architrave ed alla Fabbrica piacque molto, tanto che, diversamente da quanto era stato deciso nel precedente mese di marzo, si ordinò loro di eseguire l’ornato delle colonne e dei pilastri col disegno illusionistico della scannellatura come previsto nel progetto del Morelli, nonostante la maggior spesa; contemporaneamente s’erano iniziati i lavori della seconda sacrestia, quella a valle, ritenuta necessaria nel caso in cui, nel futuro, la chiesa fosse diventata Collegiata.
I lavori di costruzione delle opere in muratura del tempio sembrano terminare nell’estate del 1786. In settembre giunse il conto dell’architetto Morelli, pari a 300 scudi, che fu giudicato esagerato e fu rimesso per un giudizio all’esame del Vescovo; per sua intercessione Cosimo Morelli si accontentò di 76 zecchini. In ottobre il capomastro Dalrè presentò il resoconto dei lavori di muratura perché fosse disposta la perizia sull’esattezza della loro misura, e del relativo conto economico e fosse ordinato il collaudo dell’opera. Il perito Sig. Giuseppe Morri, sentito il 13 dicembre 1786, ritenne che il conto del Dalrè pari a scudi 11.212, fosse invece da ritenersi stimabile in scudi 11.152; inoltre, avendo trovato alcuni prezzi alterati, gli sembrava opportuno chiedere al Capomastro un ribasso di almeno 500 scudi.
L’edificio sacro fu completato nell’anno successivo, ma il Vescovo non diede il permesso di aprirlo poiché privo di suppellettili ed arredi. Le Confraternite, visti i debiti in cui s’imbatteva la Fabbrica, s’impegnarono ad offrirle, ad eccezione dell’apparato paonazzo che sarebbe spettato alla Fabbrica e per l’acquisto del quale il Vescovo accordò l’apertura di un censo di 50 scudi.
Finalmente, il 2 marzo 1788 il vescovo Gregorio Barnaba Chiaramonti consacrò la nuova chiesa di San Petronio. Questa la cronaca: Il giorno secondo del mese di marzo dall’E.mo, e Rev.mo Sig. Cardinale Gregorio Chiaramonti alla forma totale del Pontificale Romano fece solennemente la Consacrazione della nuova Chiesa Arcipretale di S. Petronio, come apparisce da pubblico istromento rogato dal Sig. Antonio Maria Gamberini notaio di Castelbolognese, e Cancelliere Vescovile foraneo. Tutti li Sig.ri Assonti deputati assistono alla Sacra Funzione, cioè i Sacerdoti col restante del clero in cotta, ed i laici vestiti col sacco delle loro rispettive Confraternite, ed io Sindico scrittore servij da Diacono in Camice, e stola nella chiesa, interiore alla prima apertura della porta maggiore.
Terminata la funzione, sua Em.za celebrò la S. Messa, dopo la quale si portò a casa de’ No. Sig.ri Con. Ginnasi servito della loro carrozza, dove pranzò.
Nel dopo pranzo fù cantato il Vespero dal Clero, avendo fatto l’ufficio l’Ill.mo e R.mo Sig. Can. Custode Giovanni Co. Compadretti, stando sempre esposto il SS.mo Sacramento; ed al Magnificat furono incensate solennemente dal celebrante le 12 Croci.
Indi la sua Em.za servito di carrozza, come sopra, ritornò, e diede la Benedizione col SS.mo Sacramento. Il tutto a maggior gloria di Dio.
A quasi due anni dalla consacrazione il Marchese Rondinini inviò un memoriale al Vescovo ed alla Fabbrica della chiesa per lamentare come non si fosse tenuto in alcun conto, nell’edificare la chiesa, della sua volontà di innalzare una Cappella per contenere la Colonna di San Michele. La Fabbrica rispose nella seduta del 17 dicembre 1790. Innanzitutto diedero atto che la Colonna, ritirata dagli agenti del Marchese al momento della demolizione della vecchia chiesa, come s’è sopra visto, non si è pensato più ad esporla alla primiera venerazione, e si crede adoperata ad uso profano, indi risposero che nel disegno di Morelli le cappelle laterali della chiesa erano identiche e, se l’avesse chiesta, avrebbe ottenuto l’ultima della navata destra che, confinando col cortile della canonica, avrebbe potuto essere ampliata senza pregiudizio di altri; fecero notare inoltre che il Marchese non avrebbe tenuto fede alla promessa fatta il 27 luglio 1783, poi confermata con lettera, alla presenza de’ Monsignor Alessandretti, de’ due Sig.ri Arcipreti, del Sig. Cav.re Morelli, de’ Deputati della Fabbrica, e di copioso popolo ch’era presente in chiesa, con la quale si impegnò a costruire la Cappella di San Michele a sue spese, cosicché gli venne stata riservata l’ultima cappella della navata sinistra che non poteva espandersi perché confinante con la strada e l’intercolumnio, che sarebbe potuto servire per l’esposizione della colonna ora non era di gradimento del Marchese che lo reputava troppo sacrificato. Sicchè la Congregazione desidera che queste riflessioni siano poste sotto l’occhio purgatissimo di sua Em.za R.ma, supplicandola provvedere, che avendo le Confraternite con esorbitante spesa concorso alla fabbrica della chiesa, si degni provvedere, che li Commodi annessi a detta Fabbrica non restino ad uso di Particolari, che non vi anno alcun diritto, ma della Chiesa medesima, e dal rettore di essa, il quale a motivo della Fabbrica à dovuto restringersi nella sua canonica, perdendo altri suoi commodi assai più rilevanti, come a tutto il paese è noto. Il Vescovo venne a Castel Bolognese il 23 gennaio 1791 per cercare di risolvere la questione incontrando l’Arciprete, il Marchese ed i rappresentanti della Fabbrica; il Marchese rinunciò alla pretesa sul camerino posto nell’intercolumnio e s’impegnò a far dipingere un quadro per il nuovo altare di San Michele, ma la Fabbrica avrebbe dovuto provvedere la Sacrestia di un nuovo armadio. Conclusa questa ultima vertenza, la Fabbrica di San Petronio cessò il suo servizio; non si concluse invece il suo compito economico, che proseguì, tra pagamenti e ricerca di denaro, per altri sette anni e si concluse soltanto nel primo semestre dell’anno 1800.
Paolo Grandi
Le piante delle tre chiese a confronto
In azzurro la pianta della prima chiesa, in rosa quella della seconda e in grigio quella dell’attuale chiesa. I numeri si riferiscono alla pianta della seconda chiesa (demolita dopo il terremoto del 1781); eccone la legenda:
- altare del Transito della Vergine demolito attorno al 1740 e sostituito da un confessionale
- altare di San Nicolò
- altare di Santa Caterina
- porta d’ingresso alla canonica
- altare della B. V. della Cintura, prima del 1610 dedicato a San Girolamo
- sagrestia
- campanile
- altare maggiore
- iniziale sistemazione della Colonna di San Michele
- altare di San Michele ove fu poi posta in venerazione la Colonna del Gargano; prima l’altare era dedicato a San Bartolomeo
- altare di San Carlo Borromeo; prima del 1653 dedicato a San Vincenzo o alla Concezione
- altare di Santa Margherita; prima del 1574 dedicato a San Giovanni Battista
- fonte battesimale; prima del 1574 altare di Sant’Antonio Abate
- acquasantiera in marmo
- porta della chiesa
- iniziale sistemazione del fonte battesimale
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