Alessandro Pallantieri Governatore di Ancona
Promoveatur ut amoveatur; quest’antico adagio latino calza perfettamente con la vicenda dell’ultimo incarico pubblico affidato ad Alessandro Pallantieri da papa Pio V nel 1567.
Dopo avere già servito per più di trentacinque anni la Sede Apostolica sotto sei Papi, salendo il cursus honorum fino ad ottenere la carica di Governatore di Roma, con l’elezione di papa Pio V Alessandro Pallantieri sentì avvicinarsi, imminente, la disgrazia. Quando nel settembre del 1567 il Pontefice ordinò la revisione del processo Carafa, che fu affidata a Mons. Baldo Ferratino vescovo di Amelia, Pio V dovette trovarsi un po’ imbarazzato perché la scelta del revisore sarebbe dovuta cadere, come d’uso, sul Governatore di Roma, cioè sul Pallantieri; tuttavia proprio Alessandro Pallantieri era colui che, in veste di Procuratore Fiscale, cioè di Pubblico Ministero, aveva condotto il primo processo sostenendo l’accusa contro la famiglia Carafa, non essendo estraneo in quella veste al Pallantieri un sentimento di vendetta contro i parenti di Paolo IV, che lo aveva imprigionato nel 1557.
Il Papa, dunque, trovò presto un rimedio: Alessandro Pallantieri fu nominato, con bolla del 1° gennaio 1567, Governatore della Marca di Ancona, lasciando il posto di Governatore di Roma e di revisore al Vescovo di Amelia. Alessandro Pallantieri rimase ad Ancona fino all’agosto del 1569, quando, fatto venire a Roma, fu successivamente arrestato e carcerato sabato 17 settembre 1569 con l’accusa di lesa maestà.
Ad Ancona il Pallantieri resse la provincia con la fermezza e la severità che gli erano abituali. Prova del suo impegno nel lavoro è testimoniata nella città di San Severino Marche, in una fontana monumentale che egli ripristinò: la lapide appostavi fu scoperta qualche tempo fa dall’amico Valerio Brunetti che ha partecipato ai lavori di restauro, il quale mi segnalò la scoperta.
Alessandro Pallantieri si trattenne dunque a San Severino Marche per oltre un mese per trattare varie questioni amministrative, e non volle partire senza aver visto adempiuti i suoi desideri. Uno di questi riguardava una annosa vertenza di derivazione e conduttura d’acqua per l’alimentazione della Fonte delle Sette Cannelle. Si tratta di una fontana d’origine medievale che si trova entro le mura, nei pressi della porta della Valle, ai piedi della collina sulla quale si costituì il primitivo nucleo urbano cittadino, che prende nome dal numero delle bocche che gettavano acqua in altrettante vasche in pietra. E’ una costruzione porticata, su due archi a tutto sesto con grossi pilastri, costruita probabilmente nel 1307/8 e, successivamente, rialzata. Essa prendeva l’acqua dal monte denominato “La Foresta” che sovrasta il convento e la chiesa di S. Maria delle Grazie, luogo ricchissimo di acque sorgive. La causa principale per cui fu chiamato a San Severino il Governatore Pallantieri è da ricercarsi nel tentativo di riconciliare la città con il contado, il quale ricusava di soddisfare alcuni dazi seppur, tuttavia, fornisse l’acqua per la fontana. Grato e riconoscente per l’ottenuto beneficio, il Comune di San Severino Marche innalzò dentro una delle tre nicchie che erano aperte sul fronte del fabbricato della fonte una iscrizione con lo stemma del Pallantieri. Mentre lo stemma è andato perduto, l’iscrizione campeggia tuttora con il seguente testo:
ALEXANDER PALLANTERIVS PRAESES OPT. EXVLVM CAE TERORVMQ. DELINQVENTIVM EXTIRPATOR DISCORDIAS SE DARE FONTEM ILLIVSQ.AQUAE DVCTVS PENE DIRVTOS INSTA VRARI CVRAVIT SEDEN PIO V PONT. MAX. AN. MDLXVIII |
Alessandro Pallantieri ottimo Governatore, estirpatore dei banditi e di tutti i delinquenti, sedò le discordie e curò il restauro di questa fonte e dell’acquedotto che erano pressoché distrutti, sedente Pio V Pontefice Massimo, nell’anno 1568. |
Alessandro Pallantieri, con decreto del 31 luglio 1568, dopo aver comminato ai trasgressori degli ordini da lui emanati la pena di cinquanta scudi d’oro, di tre tratti di corda ed altri castighi, prescrisse che “niuna donna possa andare a pigliare acqua alla detta fonte con la roccha o conocchia o altra cosa sporca sotto pena della frusta, et di non poter mai più andare a pigliare acqua, et alli putti minori di dodici anni li quali contraverranno se li diano li alla fonte cinquanta staffilate, et in piazza della terra altre cinquanta”. Nello stesso decreto, conservato nell’archivio storico del Comune di San Severino Marche, si comminavano pene sia al Cancelliere che agli altri esecutori che avessero mancato di far rispettare gli ordini dal lui dati, ai quali, oltre la perdita dell’Ufficio “si dia tre tratti di corda”, sia ai contadini ai quali era proibito seminare, lavorare o piantare sopra i percorsi dei condotti.
Paolo Grandi
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