I Garibaldini di Castel Bolognese
Castel Bolognese, un paese d’indomabili Garibaldini
Castelbolognese, durante la seconda guerra mondiale, corse il rischio di essere cancellato completamente. Posto a ridosso della sponda sinistra del Senio, fra l’autunno 1944 e l’aprile 1945 si trovò ad essere “l’ultima spiaggia” del fronte tedesco in Italia, e fu bombardato, cannoneggiato, minato; divenne terreno di scontri ravvicinati fra gli alleati e le retroguardie dell’esercito di Kesselring: ebbe l’85 per cento dei suoi muri distrutti, dal municipio, alla chiesa, alle case, ai resti di antichi baluardi. Da decenni la grande distesa di macerie del 1945 non c’è più: si è restaurato e costruito palazzi, chiese e case. L’abitato dentro il perimetro rettangolare del XIV secolo (segnato dai resti delle antiche mura e dai torrioni o dallo squadrato allineamento di villette, giardini e viali) è tutto ordinato e pulito. Incastrato tra Faenza ed Imola, sulla via Emilia, Castel Bolognese è un piccolo luogo; piccolo ma ricco di storia, antica e recente. Specie dal Risorgimento le partecipazioni dei castellani alle vicende patriottiche sono state ben più intense del modesto numero complessivo della popolazione. Aldo Spallicci, lo definì «il villaggio scarso di case ma ricco di tanta impetuosa fede nei destini dell’Italia». Noi vogliamo ricordare ancora il coraggio che vestì il castello della Camicia Rossa.
Già la Carboneria aveva i suoi adepti e nel marzo del 1831 ben 32 castellani parteciparono allo scontro armato che scoppiò a Rimini contro gli Austriaci. Nel 1843 il castellano Giovanni Marzari, detto il «Romagnoletto», fu tra gli organizzatori del moto di Savigno sulle colline a Sud Ovest di Bologna; mentre nel 1845 alle Balze di Modigliana, a cavallo fra Romagna e Toscana, fra i rivoluzionari che si scontrarono con i soldati del Papa, tre furono i castellani. Il Quarantotto, l’anno dei moti in tutta Europa, scosse ancor di più i cuori patriottici: fin dal marzo una trentina di volontari presero parte, con due comandanti in testa, alla prima campagna militare e d’Indipendenza e segnarono la scelta che seguirono diversi altri. I volontari castellani (che giunsero ad essere complessivamente 110) combatterono gli austriaci a Ostiglia e a Ponte Molino nel Mantovano, e a Vicenza dove tre di essi fecero olocausto della vita. E nel Castello si festeggiò la fuga di Pio IX da Roma (avvenuta il 25 novembre) e si eresse in Piazza un albero della libertà: e prima e dopo la proclamazione della Repubblica romana, avvenuta il 9 febbraio 1849, si sviluppò un gran sostegno della nuova istituzione. A difesa, poi, della Repubblica sotto diversi cieli combatterono i castellani finché non cadde il 3 luglio del 1849: all’assedio di Bologna e nel fatto d’arme del Savena, all’assalto di Ancona e di Roma
Nonostante la durissima repressione dello Stato pontificio, che giunse a decapitare il 19 dicembre 1854 nella piazza di Castelbolognese due cittadini ed a Faenza un terzo castellano, l’attività cospirativa per l’unità nazionale continuò dentro e fuori paese. Così alla spedizione di Sapri capeggiata da Carlo Pisacane, nel giugno del 1857 partecipò un castellano e nella primavera del 1859 nel Corpo dei Cacciatori delle Alpi organizzato da Garibaldi accorse un gruppo di 74 volontari di Castello.
Liberatasi le Romagne dal dominio papale e votato per l’annessione al Regno di Vittorio Emanuele II, lo spirito d’unificazione dell’Italia dei castellani (nonostante che andassero delineandosi due distinte correnti fra i patrioti: quella moderata e quella mazziniana) si manifestò con rinnovato slancio. Nell’impresa siciliana iniziata da Garibaldi e dai Mille il maggio del 1860, parteciparono tre castellani e, poi, negli scontri armati che condussero alle annessioni delle Marche, dell’Umbria e delle Regioni dell’ex Regno di Napoli, vi parteciparono in una quarantina. Nella terza guerra di Indipendenza contro l’Austria, nel 1866 i volontari castellani che parteciparono alla bella vittoria guidata da Garibaldi a Bezzecca, nel Trentino, furono una sessantina. Quando Garibaldi puntò a Roma raccolse ancora l’apporto di castellani: a Monte Rotondo ed a Mentana nell’autunno del ‘67 ce ne furono 45. Nella colonna di 78 volontari animata dai fratelli Cairoli che combatterono a Villa Glori, infliggendo duri colpi ai soldati del Papa, ci furono 8 garibaldini di Castello. Infine, attraverso la Breccia di Porta Pia, il 20 settembre del 1870 fu tra i primi ad entrare in Roma Raffaele Pirazzini, capitano, ferito al petto a Monte Rotondo, figlio di Giovanni uno dei decapitati in piazza Castelbolognese nel 1854.
Giuseppe Garibaldi era già morto da 15 anni e i popolani patrioti erano già divisi su vari fronti politici tra repubblicani anarchici e socialisti, ma la guerra di indipendenza dei greci contro i turchi nel 1897 (e la partecipazione del figlio dell’eroe dei due mondi Ricciotti e del comunardo Amilcare Cipriani), risuonò la chiamata per i castellani.
Larga fu la solidarietà con la «causa della civiltà» e 6 i volontari castellani che su terra ellenica parteciparono alla drammatica battaglia di Domokos, il 17 maggio 1897: due fecero olocausto della vita e uno riportò ferite.
Luigi Arbizzani
Tratto da “Emilia Romagna Prima Pagina” n. 6-7, luglio agosto 1982
Garibaldini di Castel Bolognese a Roma nel centenario della nascita di Garibaldi (luglio 1907). Da sinistra: Anastasio Zecchini, Sante Bertucci, Luigi Tampieri, Attilio Borzatta.
La lapide che ricorda i caduti di Castel Bolognese nelle battaglie risorgimentali. Ora è murata nel loggiato di Palazzo Mengoni; prima della distruzione durante la seconda guerra mondiale era infissa nel vecchio palazzo municipale.
I Garibaldini di Castel Bolognese nella tradizione popolare
I Garibaldini di Castelbolognese sono i protagonisti di molti racconti in cui Francesco Serantini, sullo sfondo famigliare e ottocentesco del paese natale, ne rievoca con umana simpatia e non celata. ammirazione le imprese famose. Gli episodi narrati dallo zio Gigiòla e dalla nonna Oliva, ma soprattutto quelli appresi direttamente dalla viva voce dei vecchi garibaldini, hanno impresso nella memoria dello scrittore, fin dalla sua giovane età, l’immagine di un popolo, quello castellano, che ha vissuto con semplicità e dignità l’epopea garibaldina.
L’Arlòne, Zappi, Nastasio, Gnazi sono alcuni tra i superstiti di una generazione che fu chiamata ai grandi eventi della storia. “Il villaggio scarso di case ma ricco di tanta impetuosa fede nei destini dell’Italia nuova” (A. Spallicci.), Castelbolognese, occupa un posto di rilievo nella Romagna garibaldina.
Un entusiasmante richiamo indusse anche qui tanta gente, artigiani, operai, professionisti, a indossare la camicia rossa. Non fu certo il denaro, nè la gloria, nè il desiderio di mutare condizione sociale. Miracolosa apparve soprattutto, come scrive Manara Valgimigli, “la fede di Garibaldi, straordinariamente ferma, assolutamente pura… la quale egli riversava e trasmetteva su tutti intorno a sè”. A Roma Mazzini aveva detto: “Qui non possiamo essere mediocrità morali”. E qui era il fascino dello stesso Garibaldi: una fede disinteressata nelle “grandi creazioni morali che segnano e dirigono le vie della storia” e che assicurano al contributo degli anonimi una gloria che sopravanza il mutare dei tempi. Di questo non erano consapevoli neppure gli stessi patrioti e garibaldini di Castelbolognese presenti a tutte le principali campagne risorgimentali. Gli allori militari non li sollevarono dalla loro umile condizione; dopo l’epopea, ritornarono alla vita di ogni giorno e vissero gli anni della, vecchiaia respinti dalle nuove generazioni nell’angolo delle memorie, onorati come i “reduci dalle patrie battaglie”, ai quali le istituzioni ogni tanto davano lustro, in occasione dei grandi anniversari, per decorare le sfilate dei cortei. La pensione che lo stato concesse ai reduci era povera cosa 14 lire e 60 centesimi (40 centesimi di trattenuta). Il Serantini racconta che quel denaro, accettato con disprezzo, veniva speso in bevute così i fieri reduci ne additavano l’inutilità insieme con la protesta verso un governo da loro non riconosciuto.
I garibaldini di Castello erano bevitori gagliardi: il loro ritrovo era l’osteria del Pozzo, gestita da un mazziniano intransigente. Gli anarchici, invece, frequentavano l’osteria di Piràt e si distinguevano per la barba intera e le vistose cravatte nere a farfalla. Tra i due gruppi non mancavano le divergenze, sempre però ricomposte da una bottiglia di vino e da una stretta di mano. L’ “osteria del Pozzo” sorgeva di fronte ad un pozzo pubblico accostato all’abside di San Petronio: fuori, sotto il pergolato, due semplici panche ai lati di una tavola e dentro, uno stanzone dal soffitto basso, retto da travi mal squadrate. Tra il fumo di pipa e i miasmi vinacei i vecchi guerrieri trascorrevano gli ultimi anni ricordando il Volturno, Bezzecca e Villa Glori e fraternizzavano con i giovanissimi, che chiamavano i “burdèll”, arruolatisi con il figlio di Garibaldi, nel ‘97, per la causa dei Greci a Domokos. Alla morte di un commilitone indossavano il “vestito buono” del giorno di festa, che era anche quello dell’ultimo viaggio. “I garibaldini —racconta Serantini— mettevano berretto e camicia rossa del morto sulla bara, mentre i superstiti seguivano il funerale in camicia rossa medaglie e berretto rosso con la trombina verde ricamata sul davanti sopra la visiera. Al cancello del cimitero, che era il posto dei discorsi, il maestro Zappi, autorevole fra i garibaldini, tesseva l’elogio funebre cominciando immancabilmente così: “Cittadini, commilitoni!”. Di ritorno dal Cimitero i commilitoni, in corpo, andavano immancabilmente all’osteria del Pozzo, per una libagione propiziatoria in pro dei defunto.
Era una sorta di rito ancestrale: riempiti i bicchieri li alzavano in silenzio come un offertorio vuotandoli d’un fiato….Uscendo si contavano: siamo ancora in sei, siamo ancora in cinque e così via..
Tratto da: I garibaldini: per una storia del Risorgimento a Castelbolognese: guida alla mostra / a cura di Stefano Borghesi … [et al.]. – Castelbolognese : Centro stampa del comune, 1982. ((In testa alla cop.: Comune di Castelbolognese, Biblioteca Comunale L. Dal Pane. – A pie della cop.: Mostra storico-documentaria, Castelbolognese-Ex Chiesa di S. Maria della Misericordia, 28-31 maggio 1982))
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