Padre Serafino Gottarelli e l’architetto Francesco Fontana per la chiesa di San Francesco
La bella chiesa di San Francesco, il cui possente tiburio si erge sopra i tetti di Castel Bolognese, rendendo assai caratteristico il profilo della città, deve la sua ricostruzione ai Frati Francescani Minori Conventuali, presenti a Castel Bolognese dalla fine del secolo XV fino alle soppressioni napoleoniche. Della elegante costruzione, iniziata attorno al 1703 non senza polemiche per le proteste delle famiglie che nella vecchia chiesa avevano sepolcreti ed altari in giuspatronato, si sapeva quasi tutto, anche grazie alla doviziosa descrizione fattane dal padre Serafino Gaddoni nel suo volume “Le chiese della Diocesi di Imola”; rimaneva tuttavia ancora da scoprire chi fosse stato l’architetto di quel tempio che così poco aveva da spartire con l’architettura locale di quel periodo. Infatti la pianta centrale, i moduli, il tipo degli ornati, le cornici, i capitelli compositi, il senso di spazio e di proporzione che vi si ammira appare a colpo d’occhio regolato direttamente dall’architettura romana. Dobbiamo aspettare i primi anni ’70 per vedere finalmente svelato il nome di questo artefice; nel riordinare l’archivio parrocchiale, i compianti dott. Antonio Corbara e Giovanni Scardovi – Cavurì – si imbattono in una carta autografa di Francesco Fontana (Roma 1668 – Castelgandolfo 1708) ove l’architetto propone tre progetti (uno dei quali è quello realizzato) per la nuova chiesa di San Francesco, obbedendo al volere dei frati che non intendono distruggere il campanile il quale, probabilmente secondo il gusto del periodo gotico, si trovava in fondo alla navata, posato accanto alla cappella maggiore e, quindi, in posizione abbastanza centrale guardando l’intero corpo della chiesa. Ciò impose all’architetto di “tenere più grande a capace che sia possibile la nave maestra della chiesa” e, d’altro canto, di “ricorrere ai ripieghi dell’arte per nasconder all’occhio il corpo quadrato del campanile e far che questo con il suo impedimento faccia nel tempo istesso officio d’ossatura al principal Altare della chiesa”.
Se Corbara ha diligentemente illustrato i progetti nello scritto “L’architetto Francesco Fontana per San Francesco di Castelbolognese” pubblicato in “Studi e memorie su Castelbolognese”, non è stato tuttavia ancora chiarito come e perché un architetto romano, intento al rinnovo della Città Eterna, possa essersi imbattuto nel progetto d’una chiesa in un piccolo centro così distante da Roma. Dobbiamo innanzitutto conoscere la famiglia Fontana, che tanto ha dato all’architettura italiana; essi, provenienti dal Canton Ticino, furono uno di quei nuclei di maestranze settentrionali che per tutto il Cinque – Seicento si distinsero per i loro interventi tecnici e funzionali sul tessuto urbano di Roma. Domenico (Melide 1543 – Napoli 1607), giunto a Roma giovanissimo, si segnalò per opere di tecnica ingegneristica ed idraulica, fra cui l’erezione dell’obelisco in Piazza San Pietro e la condotta delle acque sul colle del Quirinale. Sotto il pontificato di Sisto V progettò ed attuò (1584) il rinnovamento urbanistico di Roma collegando, per mezzo di lunghi rettifili, le basiliche di S. Maria del Popolo, S. Maria Maggiore, S. Giovanni in Laterano e S. Croce in Gerusalemme. Suo fratello Carlo (Bruciato 1634 – Roma 1714) eseguì numerose opere di architettura fra cui si segnalano le chiese di S. Margherita in Trastevere, di S. Biagio in Campitelli e la facciata concava di San Marcello al Corso. La ricerca dell’equilibrio classico e della chiarezza compositiva fu una costante dell’architettura di Carlo Fontana, il quale compì accurati studi sull’antico pubblicando il primo studio tecnico e filologico su San Pietro (1703) e tentandone altri sul Colosseo. A lui si deve l’ampliamento ed il completamento del Palazzo di Montecitorio, un tempo sede dei Tribunali Pontifici ed oggi sede della Camera dei Deputati; fu successore del Bernini alla carica di architetto papale. Un terzo fratello, Giovanni (Melide 1540 – Roma 1614), ha lasciato nel cortile del Quirinale la Fontana dell’organo, ha collaborato col fratello Domenico al disegno ed alla costruzione di Palazzo Giustiniani; con Flaminio Ponzio (Viggiù 1559 – Roma 1613) alla Fontana dell’acqua Paola al Gianicolo (1608/1612) ed infine insieme con Matteo da Città di Castello (Città di Castello 1525 – Roma 1589) ha provveduto alla riattivazione dell’acquedotto di Alessandro Severo (226 d.C.) rinominato dell’acqua Felice (dal nome di Battesimo di Sisto V, Felice Peretti) (1585/1589).
Infine Francesco (Roma 1668 – Castelgandolfo 1708), figlio di Carlo, ebbe multiforme attività ed interessi anche letterari. Fu professore all’Accademia di San Luca, che egli contribuì, insieme al padre, a rinnovare e a riportare in auge, dandole una nuova sede in Campidoglio. Fra le sue opere architettoniche, la copertura a cassettoni della chiesa romana di San Pietro in Vincoli, il Palazzo della Borsa inglobante i resti romani del Tempio di Adriano e la ricostruzione in forme settecentesche della chiesa dei Santi Dodici Apostoli, iniziata nel 1702 e terminata dal padre Carlo a causa della prematura scomparsa, ad appena quarant’anni, dell’architetto. Proprio dentro questa chiesa che, nel suo ordine composito ricorda il nostro San Francesco, probabilmente è maturato il progetto della chiesa castellana. Una felice coincidenza, infatti, vede in quegli anni quale Parroco dei Santi dodici Apostoli, da sempre chiesa dei Minori Conventuali in Roma, un Castellano: padre Serafino Gottarelli, che fu già Ministro Provinciale dei Frati Minori in Bologna dal 1680 al 1683, morto a Roma nel 1706. Lo stesso occupava in quel periodo anche la carica di inquisitore nel Santo Uffizio ed era, certamente, un personaggio conosciuto nella Capitale. E’ probabile che il massimo responsabile di quella chiesa, abbia, d’un lato, avvertito le necessità dei confratelli di Castel Bolognese riguardo la costruzione della nuova chiesa dell’ordine e, dall’altro, sollecitato l’architetto che in quel momento stava ricostruendogli la chiesa, a trovare una soluzione. Sarebbe infine bastato all’architetto un unico viaggio a Castel Bolognese per un sopralluogo; il plico con i tre progetti sarebbe successivamente qui giunto per mezzo di un corriere. Molto probabilmente il Fontana non ha visto realizzata la propria opera che sicuramente è stata innalzata da maestranze locali sulla base dei disegni inviati da Roma. Queste ipotesi necessitano di ulteriore conforto nella ricerca e potranno, forse, anche essere smentite; allo stato, tuttavia, questa è la più probabile teoria che giustifichi il coinvolgimento di Francesco Fontana in questo progetto fuori Roma. In Romagna si contano altre due opere attribuite a Francesco Fontana: la chiesa del Suffragio a Ravenna ed il Palazzo Comunale di Cervia. Nel disegnare la chiesa ravennate, che alcuni attribuiscono al padre Carlo (es. Corbara), l’architetto si sarebbe basato sul disegno della chiesa di San Francesco, riducendone le misure in considerazione della superficie da occupare; nulla si sa sul progetto cervese; entrambi tuttavia (riguardo il Palazzo Comunale di Cervia la notizia è documentata) sono stati probabilmente commissionati al Fontana a Roma dalla Camera Apostolica, che ha inviato i disegni sul posto.
PAOLO GRANDI
Il Nuovo Diario n. 29 del 18.07.1998
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