Alessandro Gottarelli (1555?-??)
Una straordinaria lettera scritta all’insigne Tomaso Garzoni da Bagnacavallo
Pochissime sono le notizie riguardanti questo medico castellano che, come vedremo, doveva essere piuttosto stimato nel suo campo. Alessandro Gottarelli nacque a Castel Bolognese all’incirca nel 1555, da Giulio Cesare Gottarelli (1). Si laureò in fisica, medicina e chirurgia presso l’Università di Bologna il 18 novembre 1578. La data di laurea ci permette di ipotizzare una data di nascita più precisa rispetto a quella riportata da Oddo Diversi nelle sue Cronache castellane. La presenza del medico castellano presso l’ateneo bolognese è dimostrata anche dal fatto che, fra i circa 6000 stemmi affrescati sulle pareti del Palazzo dell’Archiginnasio, è possibile trovare anche lo stemma del dottor Alessandro Gottarelli.
Dopo la laurea egli esercitò la sua professione a Bologna, Imola, Castel Bolognese (sua città natale), Bagnacavallo e Cotignola. Il Gottarelli, molto presumibilmente, morì a Cotignola, ultima città in cui fu segnalata la sua presenza. La data di morte, comunque, è da ritenersi ignota, anche se, come vedremo, è possibile avanzare qualche ipotesi. La data di morte riportata da Oddo Diversi, ossia il 1578, è in realtà la data di laurea. Esiste, comunque, un documento che ci prova in maniera inoppugnabile che il Gottarelli era ancora vivente nel 1588.
Il documento in questione è una lettera che il dottor Gottarelli scrisse al famosissimo Tomaso Garzoni da Bagnacavallo (1549-1589) nell’ottobre del 1588. Fra i due personaggi esisteva sicuramente un forte legame di amicizia, nato durante il soggiorno del medico a Bagnacavallo e il Gottarelli doveva godere di una fortissima stima da parte del Garzoni, tant’è che quest’ultimo lo interpellò su una questione piuttosto singolare mentre stava preparando il suo libro Il serraglio de gli stupori del mondo. Il Garzoni, riferendosi a un fatto narrato da Plinio, chiese al Gottarelli se ritenesse possibile che un neonato potesse rientrare nel ventre della madre.
La lettera, scritta in latino, fu riportata integralmente nel Il serraglio de gli stupori del mondo, pubblicato postumo a Venezia nel 1613 a cura di Bartolomeo Garzoni, fratello di Tomaso, il quale fece pochissime variazioni al testo preparato dal fratello. Una di queste fu proprio l’inserimento del testo integrale della lettera del Gottarelli, così introdotta da Bartolomeo Garzoni:
“Io ho sempre stimato questa maraviglia grandissima, e perciò affaticandomi circa diverse cose per essa, al fin non so come, sono dato in un discorsetto del Sig. Alessandro Gottarello huomo molto eccellente, & se campava, che illustrava da dovero la patria sua del Castello Bolognese; questi essendo Medico in Bagnacavallo fu ricercato (a quel che si vede) da mio fratello circa l’historia narrata per sentir il suo parere, & egli formò tutto l’infrascritto da me conosciuto fondato, & acuto, e però senz’altro aggiungersi da me, io soggiungo quello nel modo, e forma propria, che l’ho ritrovato, lasciando a’ saggi che ancor loro godino, & ammirino il frutto d’un sì raro ingegno.“
Come si può intuire dalle parole di Bartolomeo Garzoni, molto probabilmente il Gottarelli morì prematuramente e, comunque, alcuni anni prima del 1613, anno di pubblicazione del “Serraglio”; non è da escludere che egli sia morto poco dopo il 1588.
Nel 2004 la casa editrice VACA (Vari Cervelli Associati) di Russi ha curato una nuova edizione del “Serraglio”. Il volume è stato presentato il 2 dicembre 2005 presso la Biblioteca comunale di Castel Bolognese e la lettera del Gottarelli, tradotta per l’occasione, è stata letta pubblicamente. Il testo della traduzione, a cura del prof. Ivan Rivalta, è stato gentilmente concesso da VACA (Vari Cervelli Associati) e viene di seguito pubblicato.
Alessandro Gottarelli, dottore in Filosofia e Medicina,
saluta il molto reverendo e dottissimo signor Tomaso Garzoni, dottore in Teologia.
Dottissimo, tu mi chiedi se son dell’idea che possa annoverarsi tra i fenomeni naturali quel fatto che Plinio comprese invece tra i prodigi, nella sua Naturalis historia (libro VII, capo 3); cioè che a Sagunto, nell’anno in cui fu distrutta da Annibale, un neonato dopo esser venuto alla luce fosse poi rientrato immediatamente nell’utero della madre. Sebbene questa domanda possa a buon diritto sembrare ardua non soltanto a me, che non mi sono ancora fatto un nome, ma anche a uomini di me più colti; e sebbene io, consapevole della mia pochezza, dubiti pertanto di venirne a capo, dirò tuttavia quel che ne penso, non tanto per risolvere il problema quanto per compiacenza verso di te, di cui ho la massima stima ed a cui debbo ogni cosa. Se dunque ti sembrerà che io, rispetto alla complessità della questione, non ti abbia accontentato del tutto, ti prego di non imputarlo alla mia ignoranza più che alla complessità stessa di ciò che s’indaga.
Io crederei che sia potuto accadere a causa della fretta con cui si verificò un parto anormale; e ritengo di poterlo sostenere con un’argomentazione a parer mio non del tutto spregevole, che in base all’autorità di medici e filosofi posso congetturare nel seguente modo.
Tutti i medici, discordando dal giudizio d’Aristotele, concordano con Platone che vi siano tre facoltà (o forze) che reggono il nostro corpo: la forza animale, la forza vitale e la forza naturale. Quest’ultima poi la suddividono in due, amministrata e amministrante, che a sua volta è suddivisa in quattro facoltà: attrattiva, ritentiva, digestiva ed espulsiva. Seppure in misura minima, qualsiasi parte del nostro corpo le possiede tutte e quattro (come attesta Galeno nel De facultatibus naturalibus, libro III) e senza queste facoltà gli esseri viventi non potrebbero nutrirsi, come sostiene lo stesso autore al capo 9 dell’opera citata. Pertanto, quando una qualsiasi parte del nostro corpo non presenta anomalie congenite ed è perfettamente sana, queste quattro facoltà nel loro complesso, svolgendo al tempo giusto la funzione cui sono preposte, ci mantengono in buona salute. Se invece, come spesso avviene, si deteriorino per un qualsiasi motivo, si compromette di conseguenza ora questa ora quella funzione del nostro organismo. Siccome di tutti questi fenomeni si trova la dimostrazione nei testi di medicina, ed in questa lettera non vi è tempo per discuterne, possiamo prenderli per certi e porli a fondamento del nostro discorso.
L’utero, essendo la parte del corpo umano preposta alla generazione, fu certamente dotato delle suddette facoltà: esse, quando l’utero è immune da patologie straordinarie, esplicano regolarmente la propria funzione. Ma poichè assai di frequente (come si trovano donne per loro sventura sterili) accade che l’utero soffra o per sua natura o per effetto di altri visceri, è inevitabile che ne siano compromesse le sue funzioni e le facoltà ad esse corrispondenti. Quindi, posto che l’utero abbia una forte facoltà attrattiva con cui attrarre il seme e ciò che gli è familiare (come attesta Galeno nel De femine, libro I capo 4, ricavandolo da Ippocrate) e posto che, di conseguenza, l’utero sia ricco di fibre [muscolari] lisce (come insegna l’anatomia e come insegna Galeno nel De usu partium, libro XIV capo 14), sia ricco, cioè, di quelle fibre che determinano l’attrazione (come attesta lo stesso autore nel De facultatibus naturalibus, libro III capo 8, e nel passo già citato) non si può negare che anche la facoltà attrattiva dell’utero possa deteriorarsi.
Tale facoltà può deteriorarsi in tre modi (come attesta sempre Galeno, nel De symptomatum causis, parlando a proposito della facoltà attrattiva dello stomaco): cessando del tutto, indebolendosi o pervertendo la sua naturale funzione.
Crederei pertanto che il caso di Sagunto, riferito da Plinio, sia potuto accadere per un difetto dell’utero malato, dal momento che la facoltà attrattiva era pervertita e si manifestava con violenza quand’era il tempo d’espellere il feto. L’utero avrebbe soltanto dovuto espellere il feto naturalmente, al sopraggiungere del tempo stabilito; ma allora, a causa di patologie straordinarie (anche se per quell’epoca ogni patologia era straordinaria), si verificò un’attrazione violenta ed anormale, che appunto per la sua violenza fece ritornare nell’utero il feto già espulso, mentre il cordone ombelicale non si era ancora rotto e la placenta si trovava ancora nell’utero e forse vi aderiva ancora, proprio allorquando le vie sono al massimo della loro apertura e la bocca dell’utero si trova allineata (come insegna Galeno nel De dissectione vulvae e nel De usu partium, libro XIV capo 3). Che sia avvenuto così, la parola di Plinio lo dimostra chiaramente. Il neonato fu riattratto a forza [iure merito nel testo lat.] nell’utero, dal momento che la facoltà attrattiva può manifestarsi anche brevemente soltanto e in modo repentino (come afferma Galeno nel De naturalibus facultatibus, libro III capo 1).
Che la facoltà attrattiva, manifestandosi con violenza, abbia potuto far tornare subito il neonato nell’utero, credo di poterlo dimostrare con quell’argomento topico che va dal maggiore al minore: infatti questa facoltà, operando fuor di misura, causa fenomeni ancor più straordinari e più difficili da credere. L’antecedente è provato dalla testimonianza di qualificatissimi autori; ed allo stesso modo nel De symptomatum causis, a proposito della malattia che i medici chiamamo ìleo, volvolo o miserere mei, Galeno afferma che, per una violenta attrazione operata dalla facoltà attrattiva degli intestini, le feci ed i clisteri praticati per via anale erano stati sospinti fin dentro lo stomaco, e dallo stomaco erano poi stati espulsi col vomito: a questo fenomeno ho assistito anch’io e vi assistette anche il valente Antonio Beniveni, come attesta nel De abditis morborum causis. Oltre a ciò Antonio Guaineri, in base alla testimonianza del suo maestro, nel capitolo sulla cura del tenesmo racconta che un suppositorio legato ad un filo fu attratto nello stomaco e poi espulso dalla bocca dopo che il paziente era stato indotto a vomitare.
Quel valent’uomo di Matteo Gradi, nel suo commento al nono libro dell’Ad Almansorem, nel capitolo sul vomito racconta un fenomeno stupefacente a proposito della violenza della facoltà attrattiva. Egli racconta d’aver visitato e guarito una ragazza che per una malattia dell’intestino tenue espelleva tutti i clisteri e le feci vomitando. Quando tutto sembrava perduto e non c’era ormai più speranza di curare la giovinetta, si tentò ogni genere di rimedio. Tra l’altro, delle ghiande molto grandi e di forma allungata, applicate all’ano affinchè gli escrementi fossero guidati verso il basso, di colpo venivano trascinate verso l’alto ed espulse col vomito. I medici, stupefatti, ordinarono di legarle con fili fortissimi alla coscia della malata, perchè così facendo fossero meglio trattenute; ma di lì a poco, rotti i fili, furono bruscamente trascinate verso l’alto. Pertanto, fatta preparare una ghianda molto lunga, ordinarono di trattenerla con mano fortissima e ben ferma. Chi tratteneva la ghianda era la madre della ragazza, e quando le fu chiesto dai medici che cosa sentisse accadere nel corpo della figlia, rispose [+++]che se non l’avesse estratta subito, la ghianda sarebbe stata attratta allo stesso modo delle altre.
Egli dichiara d’aver curato questo raro e prodigoso effetto con sostanze grasse e virulenti che possono attenuare la forza delle facoltà attrattive, sia rilassando le fibre sia in altro modo. Se dunque la facoltà attrattiva, pervertendo la sua naturale funzione, può provocare tutti i casi narrati ed altri simili, manifestandosi con violenza avrà anche potuto far rientrar nell’utero un bambino appena nato. Per quanto sia difficile che questi fenomeni accadano, ciò si può facilmente dimostrare.
L’utero (come s’è affermato prima in base all’autorità di Galeno e di Ippocrate) è caratterizzato da una forte facoltà attrattiva ed è per tal motivo composto da fibre [muscolari] lisce. Quand’è giunto il tempo d’espellere il feto, la via d’accesso all’utero – che di per sè è già molto larga – ancor di più si adatta alla forma del feto (per usare le parole di Vesalio) ed è diritta, breve e scivolosa. Supponiamo inoltre che il feto fosse ancora congiunto all’utero tramite la placenta ed il cordone ombelicale non ancora troncato (infatti prima abbiamo detto che le parole di Plinio lo rivelano); mentre le ghiande, sospinte fin dentro lo stomaco dalla forza attrattiva dell’intestino e poi espulse col vomito, erano state attratte da un organo privo di una spiccata facoltà attrattiva.
Infatti gli intestini hanno una facoltà attrattiva assai debole, e di conseguenza sono privi di fibre [muscolari] lisce; necessariamente privi, perchè non ne hanno bisogno (come diffusamente dichiara Galeno nel De usu partium, libro V, e nel De facultatibus naturalibus, libro III capo 8). Inoltre quelle ghiande dovettero passare attraverso un luogo per mille versi tortuoso, e percorrere un lungo cammino (gli intestini hanno infatti una lunghezza pari a quattordici braccia); erano per di più anche legate con fili fortissimi alla coscia e – come se non bastasse – erano trattenute da una mano ben salda; tuttavia furono attratte fin dentro allo stomaco. Si aggiunga poi un fenomeno che molto spesso accade nell’ìleo, cioè che sia le feci sia l’infiammazione blocchino gli intestini a tal punto da ostruirli completamente. Da tutti questi casi mi sembra d’aver dunque spiegato per quale ragione sia potuto verificarsi quel prodigio narrato da Plinio.
A tutti questi casi mi piace aggiungere una aneddoto: nel sesto anno in cui ero medico condotto nella mia città, la signora Lucrezia Corvini, moglie del mio concittadino Battista Corvini, era incinta; e giunto il tempo stabilito con grande sforzo diede alla luce il feto solo per metà: infatti la testa era uscita e si vedeva il torace, ma il bambino fu di nuovo attratto nell’utero, per effetto (come penso) della forte facoltà attrattiva dell’utero, che manifestandosi con violenza ne impediva l’espulsione. Dopo, tuttavia, soltanto con quei provvedimenti atti ad espellere il feto e a rilassare l’utero si potè espellere il bambino, che poco di poi se ne andò in cielo. La donna invece fu salvata, è ancora viva e (come sento) ha partorito una seconda volta. In base a quest’esempio forse non sarebbe così assurdo credere che tale prodigio sia stato simile a quello narrato da Plinio; ma, siccome a quei tempi la gente era molto superstiziosa, il fenomeno fu annoverato tra i prodigi, dato che in quell’anno era stata distrutta Sagunto.
Questo, o dottissimo, è quanto ho da dire su quel parto prodigioso, limitatamente alla debolezza del mio ingegno ed alla povertà del mio stile; ed io l’ho messo per iscritto non perchè sperassi di risolvere una questione così complessa, ma per compiacere te che stimo più d’ogni altra persona.
At salut.
Alessandro Gottarelli
Dal mio studiolo, 15 Ottobre 1588
Stemma di Alessandro Gottarelli, dipinto nell’aula IV degli artisti (III della biblioteca) nel Palazzo dell’Archiginnasio di Bologna. L’immagine è tratta dal sito www.archiginnasio.it
L’inizio della lettera di Alessandro Gottarelli a Tommaso Garzoni. L’immagine è tratta da pag. 653 de “Il serraglio de gli stupori del mondo”, edito dalla VACA (Vari Cervelli Associati) nel 2004.
(1) Giulio Cesare Gottarelli dovrebbe identificarsi nel Giulio Cesare Gottarelli citato da Gaetano Giordani nella sua Cronichetta di Castelbolognese. Il Giordani scriveva: “Gottarelli Giulio Cesare lodasi in ogni scienza peritissimo: maestro amorevole di leggisti, filosofi, teologi, e poeti. Delle lettere greche e latine fu profondo conoscitore, e felice espositore de’ classici autori di tragedie e commedie. Mancò alla patria in età senile“.
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