Fausto Ferlini (1917-1992)

Pittore ed incisore. Nel 1929 frequentò, presso l’Istituto Tecnico “F. Alberghetti” di Imola, un corso di tre anni per ebanista intagliatore perfezionandosi in seguito presso Giuseppe Pelvi (noto falegname del Paese). Portato alla pittura apprese i primi insegnamenti dal prof. Cassiano Balducci superando, nel 1934, gli esami di ammissione al “Liceo Artistico” di Bologna. Allievo di G. Romagnoli, di G. Morandi e di G. Pizzirani si diplomò nel 1941 presso l’accademia di Belle Arti di questa città. La sua vasta produzione artistica ha praticamente avuto inizio nel 1947 dopo il ritorno dal servizio militare. Era definito il pittore poeta per aver scritto bellissime poesie in dialetto romagnolo e questo animo poetico traspare nei suoi dipinti e nelle sue incisioni. Raffigurava in prevalenza nature morte e paesaggi della sua terra nelle varie stagioni dell’anno in un’atmosfera che solo un poeta poteva immortalare. Le sue molteplici opere sono conservate in collezioni private di Bologna, Milano, Roma, Forlì, Lugo di Romagna, Faenza, Imola e Castel Bolognese.

Mostre personali: 1964 e 1967 Rovigo, 1968 Imola, 1972 Faenza, 1975 Bologna, 1975 e 1977 Lugo di Romagna, 1989 e 1991 Castel Bolognese e 1990 Casola Valsenio.

Biografia tratta da: Artisti di Castel Bolognese: personaggi scomparsi dal 16. al 20. sec. / Valentino Donati, Rosanna Casadio. – Imola : Santerno edizioni, 1998. (Catalogo della mostra tenuta a Castel Bolognese nel 1998.)

Fausto Ferlini mentre dipinge sulle colline romagnole nell’aprile del 1989 (si ringrazia Valentino Donati per la fotografia)

Fausto Ferlini mentre ritrae gli amici Valentino Donati e Stefano Borghesi nell’aprile del 1989 (si ringrazia Valentino Donati per la fotografia)



Fausto Ferlini

di Stefano Borghesi

Un ciliegio fiorito, una bella macchia di bianco sul fondo verde, si faceva ammirare da Fausto Ferlini, quando alla finestra del suo studio lo sguardo poteva spaziare nella campagna non ancora invasa dal cemento.
Giovanni Romagnoli associava il ricordo di Ferlini, spesso da lui incontrato a Castelbolognese, a quello spettacolo della natura, che aveva contemplato con lo stesso entusiasmo del suo ex allievo, del quale condivideva l’amore per le “cose semplici e buone”
La scuola del Romagnoli, frequentata all’Accademia di Bologna dal ‘36 al ‘41, rivive nel pittore castellano con una fedeltà non disancorata da rielaborazioni e intuizioni personali. Ferlini accoglie dal maestro la poesia del colore, che è anche poesia delle cose quotidiane riscoperte nel silenzio e nel raccoglimento, ma assimila altre esperienze (macchiaioli ed impressionisti) in un dettato pittorico che valorizza le possibilità del colore e in una tecnica dell’incisione (acqueforti e punte secche), in cui la sua creatività di artista, del tutto svincolata dall’insegnamento di Giorgio Morandi, tocca i vertici di una spiccata originalità. La pittura raffigurativa di Ferlini è il retaggio di una scuola classica che si incontra con il moderno, ma che spesso ha pagato con l’isolamento la diffidenza verso le esperienze avanguardiste. La sua proposta, tuttavia, risulta sempre rivoluzionaria, quando l’arte non ha più niente da dire e si annichilisce nella mera tecnica. Il figurativismo diventa allora il richiamo alla natura e all’ambiente realmente vissuti, che il sentimento del colore recupera nel loro autentico significato. I temi più cari a Ferlini sono le nature morte ed i fiori, esempio di una pittura dal vero che sfuma i toni del colore con effetti di morbida luce ed identifica una natura soggettivamente esperita, senza contorni definiti. Ci sono poi i ritratti delicati e le rappresentazioni del nudo di donna, lieve e soffice, che recupera contro l’edonismo l’idealizzazione della femminilità. I paesaggi, quelli soprattutto ispirati alla campagna romagnola, si fanno ammirare per il loro nitore raffigurativo, che sembra rimproverare alla modernità tutto ciò che ha inquinato o distrutto; gli interni famigliari, affettuosamente visitati, stupiscono come le rappresentazioni del presepe, in cui il pittore spesso si cimenta, stimolato dal desiderio recondito di dedicarsi solo all’arte sacra. La poetica di Ferlini riflette l’esigenza di preservare la serenità in un mondo che si lascia contemplare come la macchia bianca del ciliegio fiorito, fatto di cose belle e gentili, in cui riposano le memorie più care, sottratte alle frenesie dei tempi nuovi. Questo mondo si restringe spazialmente nella realtà del paese natio, ma diventa sconfinato quando Castello viene fatto rivivere dalla fantasia. Si trasformano allora in figure mitiche anche i popolani castellani, liricamente rievocati nel disegno a penna o nella prosa e nel verso dialettale, spogli di edulcorazioni retoriche, punti di forza di una produzione letteraria che l’autore, per la sua riservatezza, preferisce conservare inedita.
Non sembri arduo accostare la pittura di Fausto Ferlini alla narrativa serantiniana. Con Francesco Serantini il pittore castellano condivide le origini nella stessa realtà paesana, il ricordo appassionato di uomini e di tradizioni che avevano come cornice una solida cinta di mura turrite e fortificate, pervenute pressoché integre fino alla fine del secolo scorso, quando Monsieur Yriarte, un giornalista francese casualmente capitato a Castelbolognese, ne celebrò le caratteristiche paragonandolo ad una “miniature de Missel ltalien”. La fisionomia tardo medievale del Castello conservava ancora le tracce di una storia risalente alle vicende delle Signorie di Romagna, alla grandezza e alle nequizie dei Borgia, rivisitata dal Serantini stesso fino alla scoperta delle origini ufficiali: 13 aprile 1389.
Il confronto risulta più significativo se si considera che Serantini e Ferlini, rispettivamente nella narrativa e nella pittura, compiono una fusione tra il classicismo che è alla base della loro formazione culturale e il mondo della provincia con le sue memorie e i suoi colori. Essi interpretano l’umanità delle persone semplici, le loro vicende, lo sfondo paesaggistico con una stessa misura, che non consente eccessi enfatici e traducono in arte quei contenuti con la stessa immediatezza con cui potrebbe descriverli il vernacolo castellano.
In entrambi c’è la ricerca, sul filo della memoria, di volti e di luoghi perduti, come la torre trecentesca distrutta dagli eventi bellici, celebrata dal Serantini con un rimpianto venato di malinconia leopardiana: “Vaghe stelle dell’Orsa, guardie dei piloti, nel cielo del mio paese voi stavate a picco sopra la torre”. La torre era l’emblema più amato della storia e delle tradizioni patrie. Ad essa si richiama Fausto Ferlini nel grande olio su tavola donato al Municipio in occasione del sesto centenario della fondazione di Castelbolognese. Il quadro rappresenta l’approvazione del modellino della torre da parte del senato bolognese e la benedizione della posa della prima pietra. La raffigurazione è tutta dettata dalla fantasia. Il giudizio storico potrebbe addirittura contestare la presenza, a quei tempi impossibile, di frati cappuccini. Ma a Ferlini questo non importa, così come al giudizio estetico non importa che il Carducci faccia erroneamente tramontare il sole dietro al Resegone. Il pittore ci ha dichiarato con una amarezza non ancora dominata: “Non potevo ignorare quattrocento anni di presenza francescana a Castelbolognese bruscamente ed inspiegabilmente interrotta”. I cappuccini sono legati ai ricordi più belli dell’infanzia, sono i simboli di una fede che come l’arte privilegia le cose più semplici.
Il quadro, che ha il respiro di un grande affresco, sintetizza le aspirazioni di Ferlini uomo ed artista. La posa della prima pietra della torre è un rito semplice e solenne ad un tempo, che abbraccia insieme clero, senatori e notabili in vesti curiali, popolani ignudi. Ma anche in questo caso il vero protagonista e il colore, gaio e freschissimo in primo piano, che sembra sciogliere un inno ad un Castello lontano nel tempo, intravisto sullo sfondo, con toni più spenti, in un abbozzo del suo profilo medievale, piccolo pantheon dei fantasmi più cari. Riaffiora la rimembranza serantiniana: “Andremo con questi ippogrifi fin nella luna dove incontrerò tutti quelli che non ho visto oggi e la mia giovinezza fiorita… tanto, qui senza la torre non saprei ritrovare le stelle dell’Orsa che, ricordi, ci scintillavano sopra”.

Piccola galleria di opere di Fausto Ferlini

Fausto Ferlini poeta: registrazioni audio con declamazioni di sue poesie

 

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