Ricordo di Domenica Orilli, “Ghina infermiera” (1891-1993)
Addio Ghina…
Addio Ghina, non credo che siano stati molti i cittadini di Castel Bolognese, che si siano soffermati a leggere l’annuncio funebre di certa Domenica Orilli, ved. Borzatta, spentasi pochi giorni fa, alla veneranda età di 102 anni, se non per commentare la scarsa frequenza di tali avvenimenti.
Nessuno forse sapeva (o assai pochi) che Domenica Orilli, ved. Borzatta era una vecchia e cara figura del nostro Paese, più nota, almeno fra i non giovanissimi, come Ghina infermiera.
Il mondo si muove oggi ad una velocità supersonica. La gente nasce, cresce, molti partono per il mondo in cerca di lavoro e di essi si perdono le tracce; altri arrivano scendendo per lo più dai monti come le acque dei nostri torrenti in autunno o in primavera, trovano una qualunque sistemazione, non si preoccupano di allacciare un qualsiasi rapporto che non sia strettamente occasionale con i provvisori vicini di casa, poi o loro stessi o i loro figli riprendono di nuovo ad agitarsi in cerca di più gradite soluzioni di lavoro o di più comode sistemazioni.
Tutto il mondo, è, molto spesso, per la gente di oggi, quello che gira attorno a ognuno di noi, o al massimo attorno alla propria famiglia: tutto il resto, non conta.
Castel Bolognese non è più un nucleo di gente solidale che si riconosce alla voce, nei soprannomi, nei gesti, nella storia delle singole famiglie o delle varie professioni, nelle espressioni, ma la sala d’aspetto di una stazione in cui ognuno aspetta il suo turno e il suo treno, senza interessarsi neppure di sapere chi sia il suo occasionale compagno di viaggio. Ognuno è ignoto all’altro: nessuno sa, o si chiede o si preoccupa di saper che, se egli in qualche modo sopravvive, lo deve allo spirito di sacrificio, all’impegno, al lavoro, all’abnegazione di qualcun altro che lo ha preceduto.
Tutto scorre, diceva il vecchio Filosofo greco, tutto cambia. Che cosa vale, chi è il tuo Prossimo?…
Non sono più tanti coloro i quali hanno goduto dell’impegno umano senza limiti di Ghina infermiera. Da molti anni era in pensione: da molti anni, a compenso delle sue fatiche, qualcuno le aveva detto:
ed ora, siediti e aspetta! Non so se nessuno le abbia detto grazie.
Eppure Ghina è stata per tanti anni una delle colonne portanti del nostro Ospedale, quando l’Ospedale era un punto di ritrovo e di speranza per tutta l’umanità sofferente del nostro paese e non un punto burocratico di accettazione e di smistamento di gente che chiedeva senza sapere di essere ascoltata in tempo utile, gestito da elefantiaci Enti amministratori della salute del cittadino, destinato a vivere e a morire sotto montagne di carte.
A quei tempi, non erano le frecce dell’orologio che scandivano le ore dell’impegno, ma il bisogno del prossimo e la soddisfazione era, sì, anche il salario, ma soprattutto la soddisfazione del dovere compiuto. Molto spesso, o quasi sempre per gente come la Ghina (e non era la sola, per carità) valeva la legge prioritaria del tutto da dare e niente da domandare.
Ghina nel nostro Ospedale era una istituzione: sempre presente al letto del malato sofferente, a fianco dei medici in ambulatorio o in sala, assistente vigile ed attentissima in sala operatoria, previdente come nessuno in qualsiasi stato di necessità. Ghina aveva una parola buona per tutti, un incoraggiamento e una luce di speranza anche per chi di speranze non ve ne erano più.
Quanti sono, o quanti sono stati, i Castellani che le hanno dovuto qualcosa o ai quali essa ha risparmiato momenti di sofferenza?
Certamente tantissimi. Né, accanto a Ghina, possiamo dimenticare i medici di quel periodo, che con lei. condivisero impegni, sacrifici, preoccupazioni, in momenti storici difficilissimi per il nostro Paese. oltre ogni limite tollerabile, per i quali, al di là del ricordo formale (ed è già tanto!) è sempre più raro raccogliere un pensiero o un ricordo.
Ma queste purtroppo sono le leggi ferree della vita. Non c’è tempo per dire grazie a nessuno nè di soffermarsi in un istante di raccoglimento, dentro di noi, sempre più stanchi e spinti in un fatale andare, senza pietà.
La gente va, sola fra la folla, ognuno per sè. E ci si chiede come questo sia possibile senza stringersi per mano, senza conoscere chi ci ha preceduto, ignorando di essere debitori di qualcosa a qualcuno, come persona o come comunità o come sia possibile costruire un futuro, ignorando coloro che hanno costruito ii passato: anche quello, forse modesto, racchiuso fra le quattro mura del nostro vecchio Borgo, nell’ambito delle nostre istituzioni locali, ma non meno importante.
Ghina se ne è andata in silenzio, seguendo a poche settimane di distanza, il destino del suo Ospedale, di questo nostro Ospedale civile che è stato per lunghissimi anni, il testimone più valido dell’impegno umano di una serie non breve di spiriti generosi e che ha concluso una storia, delle storie, di persone e di istituzioni, a cui tocca davvero, nel momento in cui viene pronunciata la parola “fine”, il più nobile ed eloquente dei Blasoni: quello che noi leggiamo (ancora fino a quando?) sul frontale del nostro Ospedale: Cives Civibus: i cittadini per i Cittadini.
Il nostro augurio, e crediamo che sarebbe stato condiviso con tutto il cuore anche dalla nostra Ghina, è quello che le future generazioni, consapevoli dell’operato dei nostri vecchi, sappiano offrire alla nostra gente, istituzioni sanitarie migliori di quelle che sopravvivono nel ricordo di noi anziani.
Dr. Tomaso Bosi
Testo tratto da: Castelbolognese notizie, n. 2, maggio 1993
Fotografia tratta da: Castelbolognese notizie, n. 2 agosto 1991
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