Testimonianze di alcuni sopravvissuti

Il manovale Giuseppe Mammarella, di Pescara, diretto in Svizzera con la moglie Lucia Dimeisi, ha raccontato: “Ci eravamo sposati l’undici febbraio scorso e io mi recavo con mia moglie a Berna dove avevo trovato lavoro. Al momento del sinistro sonnecchiavo. Di colpo uno scossone tremendo, poi la terrificante sensazione che il treno volasse in alto al di sopra delle rotaie! Mi sono trovato compresso fra due corpi, con la testa in giù e i piedi in sù. Era buio pesto, e udivo solo urla, lamenti. Ho chiamato mia moglie e non ho sentito la sua voce. Allora allungo una mano e, inorridito, m’accorgo di toccare una gamba sfracellata. Finalmente riesco a trovare nel buio, fra il groviglio di quei corpi inanimati e dei feriti che urlavano, mia moglie: era soltanto svenuta. L’ho presa fra le braccia e sono riuscito a trascinarla fuori. Altri viaggiatori feriti, miei compagni di scompartimento, anche loro diretti in Svizzera, tendevano le mani implorando perchè li salvassi. Ma cosa poteva fare? Appena uscito da quel groviglio di ferraglie con mia moglie, sono svenuto ed ho ripreso conoscenza soltanto all’ospedale”.

La signora Anna Borneo, da Milano, che viaggiava col figlioletto Franco, di quattro anni, ha avuto anche lei un drammatico quarto d’ora. “L’urto tremendo mi ha stordita. Sono svenuta, e quando ho ripreso i sensi il mio bambino non c’era più! Ero ferita a una gamba. Guardandomi attorno distinsi nel buio un uomo con la testa orrendamente schiacciata contro il finestrino. Urlai, e mi misi a cercare, a tentoni, al buio, il mio bambino. Un agente mi soccorse e mi disse di star calma: mio figlio era stato salvato. Difatti lo ritrovai più tardi all’ospedale”.

Un giovane di Comunanza, in provincia di Ascoli Piceno, Antonio Lausdei, ha narrato: “Mi trovavo sulla seconda vettura dopo il bagagliaio, ero diretto a Milano per ragioni di lavoro. A un certo punto, erano circa le due di notte, sentii uno schianto tremendo. Accanto a me c’era una bambina che stava dormendo: siamo riusciti a farla scendere da un finestrino insieme alla sua mamma. Udivamo frattanto le urla e i lamenti dei feriti e di persone rimaste incastrate nel treno che non riuscivano a divincolarsi dalla morsa dei rottami. Fra queste, un uomo stava lì con la gola compressa fra due lamiere. Che potevamo fare per lui? Non dimenticherò mai la sua fine straziante!”

Una sola persona, rimasta quasi incolume, ha matematicamente previsto (sia pure nel breve lasso di pochi secondi) la catastrofe: è il ferroviere Aristodemo Mercurioli di Faenza il quale, seduto in uno scompartimento di seconda, stava raggiungendo Bologna ove avrebbe preso servizio. Il macchinista faentino — che giace ora leggermente contuso in un letto dell’ospedale della sua città — era salito a Faenza, pochi chilometri prima del tremendo epilogo del suo viaggio. “Avevo già fatto questa linea, sapevo del rallentamento di Castelbolognese e aspettavo la frenata: era un atteggiamento istintivo, di uno abituato a condurre treni su questa linea: come un vecchio pescatore che sente la tirata della lenza. Quando mi sono accorto che la frenata non arrivava, ho chiuso gli occhi ho aspettato lo schianto: c’è poco da sperare con un treno che sfiori i cento nella manovra della brusca deviazione da un binario all’altro.

Nel suo volto, appena graffiato, è ancora impressa quella drammatica attesa di pochi secondi, uno sconvolgimento che si fonde con l’incredula gioia di sentirsi vivo.

Da Il Resto del Carlino del 9 marzo 1962


Il calzolaio Lino Canestrari di Porto San Giorgio, ancora in preda a grande emozione, ha dichiarato: “Sono giunto qualche momento fa con un’auto di passaggio, assieme ad altre tre persone, che sono già ripartite alla volta di milano. Ero salito a Porto San Giorgio con una decina di altri passeggeri, diretto a Milano per ragioni di lavoro. Ad Ancona sono passato, assieme ad altri, da una vettura centrale, che era superaffollata, in una delle carrozze che erano state poste in testa al convoglio. Devo forse a questo se mi sono salvata la vita. Al momento del deragliamento mi trovavo sulla carrozza situata prima della vettura postale. Si è sentito prima uno sbandamento, poi due grossi strappi. Nella vettura in cui viaggiavamo si trovavano circa novanta persone, che sono rimaste tutte pressoché illese. Il locomotore e le altre vetture davanti e dietro di noi erano tutte rovesciate. Io ed alcuni altri, superato il primo momento di choc, abbiamo cominciato a trarre fuori dai finestrini (le porte della vettura erano rimaste bloccate) alcuni passeggeri. Fra questi una bambina, che lamentava un forte dolore ad una gamba, ed una donna in stato interessante. Un mio amico è corso subito verso la stazione a dare il primo allarme”.

Il ventunenne Giuseppe Aventino, residente a Milano e attualmente militare a Napoli, ha detto: “Ero salito, con altri, a San Benedetto del Tronto. Al momento della sciagura stavo dormendo. Sono stato scosso nel sonno da un forte strappo ed ho intuito che il treno doveva essere uscito dai binari. Mi sono aggrappato con tutte le mie forze ad un sedile; poi altri si sono aggrappati a me, mentre addosso ci stavano piovendo valige e pacchi, scaraventati giù dalle reticelle a causa del tremendo urto. Si sentivano urla di dolore e di terrore: la nostra vettura era tutta rovesciata sulla destra. Non potevamo scendere, ci trovavamo ad una considerevole altezza sopra un ponticello. Dopo molti sforzi siamo riusciti a saltare su un’altra carrozza e finalmente a toccare terra. Mi sono ritrovato ad un tratto davanti ai piedi, senta sapere come, le due mie valige che avevo smarrito nel trambusto”.

Ed ecco quanto ha raccontato un altro viaggiatore, il giovane Gabriele Zullo, di Ariano Irpino: “Io ritornavo in Svizzera per riprendere il mio lavoro, dopo aver trascorso dieci giorni a casa. Mi trovavo nella terza vettura e stavo riposando, quando ad un tratto sono stato destato da un terribile scossone. Ho preso le mie valige e sono saltato fuori da un finestrino: le porte erano rimaste tutte bloccate. Ho visto davanti a me uno spettacolo spaventoso, straziante: sono fuggito via; in preda al terrore. Sono riuscito a prendere una corriera e ad arrivare fin qui con una cinquantina di persone, tutte scampate al disastro”.

Da La Stampa Sera del 9 marzo 1962


Alla Centrale gli scampati al disastro

Sono arrivati con un treno straordinario da Castelbolognese

STAZIONE CENTRALE, MARCIAPIEDE 3
Ore 13,05: entra in stazione il treno straordinario “450 bis”, che ha lasciato Bologna alle 9,05. Partito come diretto, ha effettuato il percorso come accelerato, dando la precedenza, lungo la linea, persino ai “merci”. Da questo treno scende buona parte di coloro che stanotte si trovavano sul treno deragliato a Castelbolognese.

E’ povera gente per la maggior parte, meridionali che provengono da ogni paese del Sud, in cerca di lavoro al Nord, con le solite valigie legate con lo spago, ora più che mai quasi inservibili.
Ci avviciniamo a Matteo Stefanini, 35 anni, da Foggia. Viaggiava nella terza vettura, sfasciatasi completamente: “Sono vivo per miracolo, dormivo. Mi sono svegliato con una gamba fuori del finestrino e non ci vedevo. Il sangue mi colava lungo il viso e sentivo gridare la gente”. Se l’è cavata con una contusione cranica.

Molti sono diretti in Svizzera. Fra essi Giovanni Campanella, 34 anni, da Potenza; Saverio Natuzzi, 47 anni, da Bari, Nicola Forcini, 29 anni, da Notaresco (Teramo).

Costui è con la figlia Simonetta, 14 [sic!] anni, e la moglie Amalia, 26 anni. Sono tutti salvi, poche ammaccature e molto spavento. E ancora Maria Russo, 27 anni, col marito, Angelo Andretta, e la figlioletta Rosetta, 5 anni, da Avellino.

La bambina è malconcia ma sta bene. Una valanga di bagagli l’ha sepolta, mentre dormiva in grembo alla mamma. Lo spavento per l’improvviso, doloroso risveglio l’ha resa momentaneamente muta. Nemmeno la mamma sa dire come si sia salvata. Erano nella quarta vettura, completamente rovesciata.

C’ê un geometra, Luigi Bosca, 24 anni, che viaggiava con la madre Cesira Catassa, 50 anni, e la fidanzata Sandra Ferri, 18. Andavano in viaggio di piacere in Svizzera, ed erano partiti da Pesaro.
Giuseppe Barucca, 42 anni, manovale che ritornava in Svizzera, viaggiava con la moglie Edvige Fabbri, 41 anni, la figlia Norma 12, e un amico, Carlo Andreini, 42 anni. Un palo della rete elettrica ha trattenuto la vettura che è rimasta in bilico sul binario, senza ribaltarsi. Per uscire han dovuto fracassare i vetri, passando per i finestrini. I loro bagagli sono impregnati di sangue dei feriti. “Un bimbo — ci racconta il marinaio nocchiere Ernesto Comini, 21 anni, da Romano Lombardo — stava sui binari e piangeva. Poteva avere sì e no due mesi, era sporco di sangue e nella confusione creatasi sul momento, qualcuno cercava affannosamente i genitori. Non so dove si trovassero, se erano fra i morti o i feriti. Poi una signora lo ha preso in braccio coccolandolo.

Testo e immagini da “Stasera”, 8 marzo 1962

La signora Maria Russo, 27 anni, da Avellino, con la figlioletta Rosetta in braccio di due anni. Ha salvato la bambina, producendosi alcune contusioni

Da sinistra: Edvige Fabbri, 41 anni, con la figlia Norma, dodicenne, e il marito Giuseppe Barucca, 42 anni, tutti da Pesaro. Andavano in Svizzera dove il capo-famiglia lavora come manovale. Si sono salvati uscendo dal finestrino, dopo aver fracassato i vetri.

Matteo Stefaini, 35 anni, da Cagnano Varano (Foggia). Veniva a Milano con il compaesano Michele Polignoni in cerca di lavoro

Il marinaio Ernesto Comini, 21 anni, da Romano Lombardo.
Proveniva da Taranto, e andava a casa in licenza

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *