Febbraio 1945: addio Torre!

di Paolo Grandi

Il nuovo mese di passione cominciò con la più grave offesa perpetrata dai tedeschi ai monumenti di Castel Bolognese: l’annientamento del suo simbolo cioè la medievale torre civica. Più volte colpita, smozzicata dalla parte di levante, offesa da un carro armato nelle sue basi, nella mattina di domenica 4 febbraio i guastatori tedeschi iniziarono a minarne la base e ad avvisare la popolazione che nel primo pomeriggio l’avrebbero abbattuta. Così alle ore 14 un tremendo boato ed una forte scossa segnarono ciò che restava del Castello, che ora aveva perduto per sempre la sua piazza dal carattere rinascimentale. Un’altra vittima di questi giorni fu il campanile della Domenicane, l’unico non ancora colpito. L’arco a mezzogiorno, dove era la campana maggiore requisita fu spaccato da una granata nel pilastro esterno: la parte inferiore si sbriciolò e il moncherino superiore si afflosciò sul pilastro mediano, restando attaccato da questo lato nella parte superiore. Rimase tuttavia intatta l’altra campana.
Centro e campagna furono tormentate da tiri di granate ed attività aerea quasi quotidianamente: Franco Ravaglia annota solo una relativa calma nei giorni 3 e 18 e nella mattina del 25. Solo nel pomeriggio del 25 vi fu un bombardamento aereo che interessò la campagna.
Meteorologicamente, si alternò un tempo invernale con anche qualche spolverata di neve sulle rovine della torre, ma si contarono anche alcune giornate di primavera precoce che invitarono i castellani ad uscire dalle cantine.
Angelo Donati riferisce che l’umore dell’esercito tedesco era mutato ed i militari stavano diventando sempre più duri ed intransigenti, segno per loro che le cose stavano volgendo al peggio. La popolazione ne era atterrita e bastava un nulla per suscitare reazioni violente, spesso omicide. In un impeto di estrema difesa i soldati reclutavano gli uomini validi sotto minaccia di morte per aprire trincee, camminamenti e costruire altri lavori di difesa.
Dalla chiesa di San Francesco, sempre dietro la direzione di don Garavini furono portate via in fretta la statua lignea di S. Antonio di Padova, rifugiata in Palazzo Ginnasi e il Crocifisso, riparato nel Monastero delle Domenicane assieme alle Reliquie del relativo altare. Intanto continuavano i saccheggi e le razzie nelle case e nelle chiese sventrate dalle granate e dalle bombe.
Arrivarono i Padri domenicani di Bologna per ritirare gli arredi sacri più preziosi della loro Basilica poiché erano stati portati nel Monastero per metterli in salvo; l’operazione avvenne con ogni cautela, girando talvolta anche di notte e dal Capoluogo qui portarono viveri e medicinali, racimolati non senza difficoltà dai castellani residenti a Bologna, in particolare Mario Santandrea e Romolo Tosi. Le Monache affidarono ai domenicani anche gli oggetti più preziosi della loro chiesa e di San Francesco oltre alle macchine da maglieria ed altre cose
Non mancarono eccidi, vittime e ferimenti. Il 12 febbraio al podere Anna nella parrocchia di Borello avvenne il secondo fatto di sangue più grave dopo quello di Villa Rossi e che costò la vita a dieci persone; questa volta fu un colpo sparato dagli alleati che cadde vicino al rifugio ove si trovavano i coloni di quel podere ed altri sfollati. Il 17 febbraio l’UNPA ebbe il suo tributo di sangue: Ariovisto Liverani, genero di Arnaldo Cavallazzi, fu ferito gravemente da una scheggia di granata mentre era all’opera per abbattere un muro pericolante; trasportato all’ospedale di Imola, morì il giorno successivo, lasciando la moglie e due figli. Andrea Casadio invece, che cercò di soccorrerlo, cadde all’istante. Infine il 26 febbraio morì sulla via Emilia, nel Borgo, l’ing. Ugo Ortolani, co-autore del nuovo pavimento della chiesa di San Petronio, colpito da una scheggia di granata. Ritornava assieme alla domestica Dorina Martelli, la quale rimase ferita ad un braccio, dalla propria casa con un carico di grano che aveva lasciato nel momento di sfollare nelle cantine delle Domenicane.

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