Ricordando Dino Biffi: una pagina di storia del movimento cattolico a Castel Bolognese

(introduzione) Il 5 novembre 2024 è scomparso l’ex sindaco Reginaldo Dalpane, primo cittadino dal 1956 al 1964. Sembra giusto ravvivare il ricordo del suo predecessore, il cav. Dino Biffi, deceduto il 24 ottobre 1985 nel nostro (rimpianto) Ospedale Civile dopo breve degenza. La sua figura è ingiustamente dimenticata e sconosciuta ai più. Nato a Castel Bolognese il 10 febbraio 1907 da antica famiglia castellana di tradizione cattolica, Dino Biffi fu giovanissimo presidente dell’Azione Cattolica locale negli anni difficili del fascismo, che non conquistò mai la sua adesione. Nel secondo dopoguerra, ritornato dalla prigionia in Germania, aderì alla Democrazia Cristiana e fu Sindaco della prima Amministrazione bianca di Castelbolognese dal 1951 al 1956. Fu anche giocatore, allenatore e presidente del glorioso Castel Bolognese Football Club. Ricordiamo Dino Biffi riproponendo, da Vita Castellana n. 5-6-7 del 1985, le testimonianze di chi lo conobbe da vicino e fu al suo fianco in lunghi anni di militanza politica. (A.S.)

ARTEFICE DELL’AZIONE CATTOLICA

di Angelo Donati

Aveva appena quattordici anni Dino Biffi quando entrò a militare nelle file dell’Azione Cattolica di Castelbolognese, di cui fu uno degli artefici. Anche a Castello nel 1920, per impulso della federazione giovanile diocesana stimolata dal can. Angelo Bughetti, la gioventù cattolica fondò il Circolo «Pierino Del Piano». Nardo Zannoni ne fu per troppo breve tempo esemplare presidente e al suo fianco Dino svolse le funzioni di segretario.
Non è facile far rivivere le tensioni e le battaglie di quei lontani anni ’20, quando la crisi scoppiata nel primo tormentato dopoguerra sfociò nella conquista fascista dello Stato e nel progressivo consolidamento della ventennale dittatura. Anche per i cattolici e per l’autonomia delle loro iniziative non furono quelli anni facili, soprattutto nella Romagna tradizionalmente anticlericale e spiccatamente predisposta all’esplodere della passione politica. I circoli di gioventù cattolica sorti in Romagna nel 1920-21 furono malvisti da tutte le parti politiche, che non risparmiarono derisione e ostilità nei loro confronti.
Gli ideali e le speranze che animavano la gioventù cattolica di allora e che la inducevano a tradurre con tanto entusiasmo nell’azione i principi fondamentali dell’insegnamento cristiano non trovano alcun riscontro nei programmi delle attuali generazioni oppure sono rivissuti in un contesto storico e sociale completamente diverso. Allora non veniva inteso come retorico il motto «Preghiera-Azione-Sacrificio» inciso, accanto allo scudetto azzurro, sulla seta bianca della bandiera del Circolo offerta dalla mamma di Dino, la signora Giannina Biffi, la quale nei primi anni di vita del «Del Piano» ospitava nella sua casa i soci del Circolo ancora senza sede. Dino Biffi contribuì con grande zelo a tutte le iniziative religiose, culturali e ricreative del Circolo. Esse riuscirono ad aggregare decine e decine di fanciulli e di giovani, che diedero incremento al movimento cattolico locale.
Dopo la morte prematura di Nardo Zannoni nel 1928, Dino Biffi ebbe affidata la presidenza stessa del «Del Piano», rivelandosi ancora un perfetto organizzatore. Ma responsabilità davvero ardue dovevano attenderlo per tutelare l’autonomia del suo movimento in uno scontro, talora diretto, con le autorità e con i sostenitori del fascismo locale. All’inizio degli anni ’30 scoppiò un contrasto tra la Chiesa e il regime a proposito dell’autonomia delle organizzazioni cattoliche giovanili. Il fascismo, sempre più spinto nella logica totalitaria, pretendeva che tutta la gioventù fosse inquadrata unicamente nel suo apparato organizzativo. Prima che il contrasto venisse appianato, anche il Circolo «Del Piano» di Castelbolognese venne proposto per lo scioglimento. In un rapporto dei carabinieri veniva segnalato che il presidente in più occasioni aveva detto ai soci che non dovevano iscriversi alle organizzazioni fasciste. Questo Dino Biffi lo aveva affermato in coerenza con le sue convinzioni, che non lo portarono mai ad aderire al fascismo. La propaganda del regime non riuscì ad attirarlo, a differenza di tanti altri, neppure nel momento trionfale della conquista dell’Etiopia, che Dino non mancò di criticare.
Ma come tanti altri egli doveva subire le conseguenze dell’avventura fascista, quando la seconda guerra lo costrinse a rimanere per lunghi anni lontano dalla famiglia e dalla patria. Chiamato alle armi nel 1943, dopo l’8 settembre venne fatto prigioniero ad Atene dai tedeschi e deportato in Germania. Fece dure esperienze in diversi campi di concentramento in situazioni davvero drammatiche, come quando scampò fortunosamente, anche se ferito, ad uno spaventoso bombardamento che lo colse ad Amburgo insieme con altri compagni condannati ai lavori forzati. Il calvario doveva concludersi alla fine del 1945. Aveva respinto in precedenza l’offerta, sia pure allettante, del rimpatrio, rifiutando coraggiosamente la condizione di aderire alla Repubblica di Salò.
Il primo dopoguerra aveva visto Dino giovanissimo militante e protagonista nelle file dell’Azione Cattolica. Il secondo dopoguerra lo sollecitava a riproporre il suo impegno nel movimento politico dei cattolici che si raccoglievano con entusiasmo e speranza attorno alla Democrazia Cristiana, appena venuta alla luce dalle rovine del fascismo e della guerra. Quando nel 1951 i democratici cristiani di Castelbolognese ebbero per la prima volta l’occasione di eleggere tra le loro file la guida dell’Amministrazione locale, Dino Biffi venne chiamato per le sue qualità di uomo saggio ed esperto a ricoprire la carica di Sindaco.
La perdita dell’amico Dino mi ha profondamente turbato, perché con lui ho passato gli anni più belli della mia attività religiosa e culturale nel mio paese. Spero tuttavia che questo ricordo contribuisca a sottrarre all’oblio una pagina importante della storia dei cattolici di Castelbolognese.

NEL CALCIO CASTELLANO

di Ubaldo Galli

Con Dino abbiamo passato gli anni più belli del calcio castellano, dal 1923 al 1926 quando il Castelbolognese faceva il campionato cosiddetto «romagnolo», che era composto dal Castello, dall’Imolese, dal Faenza, Forlì, Cesena, Rimini, Lugo e Ravenna, con risultati eccezionali, ai quali il mio amico Dino ha dato un contributo fuori dell’ordinario. Nella squadra era una sicurezza. Il gioco lo teneva spesso impegnato nel pomeriggio della domenica e dovevi così rinunciare a partecipare alla «Benedizione» nella chiesa parrocchiale, con grande disappunto della madre. A questo proposito mi recavo io stesso dalla signora Giannina a chiedere il permesso per Dino a nome di tutta la squadra e solo a me lo concedeva, pur brontolando.
In un campionato, di cui non ricordo l’annata, nel girone di ritorno la coppia dei terzini Biffi II – Galli subì due soli gol e questo per merito, lo posso ben dire, di Dino che in quel periodo dimostrò di essere uno dei più validi calciatori non solo del Castelbolognese, ma di tutto il calcio romagnolo. Giocatore leale, deciso, era per noi il prototipo del calcio locale. Al calcio castellano fu sempre molto affezionato, ricoprendone nel dopoguerra, per qualche tempo, la carica di Presidente.

DOPO LA BUFERA

di Domenico Gottarelli

Quasi sicuramente il mio primo incontro con Dino risale al 1939, quando poco più che adolescente, cominciai a frequentare il Circolo dell’Azione Cattolica di Castelbolognese.
Ricordo bene, però, le sue frasi secche e taglienti e i suoi giudizi scarni e ironici, che colpivano come frustate e che stroncavano in me, allora giovanissimo, la voglia di qualsiasi replica.
Era una persona che mi metteva in soggezione.
Venne la guerra e un giorno, richiamato, Dino partì.
Alle morti, ai massacri e alle distruzioni della guerra, si aggiunsero gli orrori, le sofferenze e le brutalità della guerra civile. Ben oltre la fine del conflitto, si continuò a vivere in un clima di violenza, al quale, impotenti, sembravano assuefarsi anche molti di animo sensibile e mite. Nell’autunno del 1945 Dino tornò dalla prigionia, più magro e lievemente zoppicante, ma il suo carattere non sembrava cambiato. Le sue battute erano sempre graffianti e io, anche se nel frattempo ero cresciuto, davanti a lui mi sentivo ancora in soggezione.
All’unanimità i componenti la sezione della Democrazia Cristiana di Castello, alla cui costituzione, nei giorni che seguirono la fine della guerra, in casa dell’amico Angelo Donati, avevo partecipato insieme ad altri coetanei, lo chiamarono alla segreteria.
Esordì, di fronte all’assemblea acclamante, con queste parole: “Noi non abbiamo nemici, ma solo avversari” e proseguì, con tono pacato e con un’oratoria scarna e priva di retorica, illustrando i principi fondamentali e irrinunciabili, cui doveva ispirarsi la nostra azione politica.
Per quei tempi, le sue erano parole di rottura e molto diverse da quelle che abitualmente era dato di ascoltare. Egli concepiva la politica come una civile competizione e in coerenza con la sua fede religiosa, affinata dalla lunga milizia nelle file dell’Azione Cattolica e dalle sofferenze della guerra e della prigionia, volle subito mettere in risalto che la libertà non era conciliabile con la violenza e che questa sarebbe stata sconfitta soltanto se gli italiani avessero compreso che era necessario saper perdonare, anziché insistere nel voler giudicare.
Man mano che le sue parole fluivano, sembravano diventare più calde e suadenti; cominciai a rendermi conto, e con me tanti altri amici, che le spigolosità del suo carattere erano più apparenti che reali, una scorza per coprire una pasta fatta di bontà e di rettitudine.
Non mi sentii più in soggezione e da allora lo considerai, come già lui mi considerava, un amico.

SINDACO NEGLI ANNI ’50

di Reginaldo Dal Pane

Don Biffi è stato il primo Sindaco democristiano di Castelbolognese, eletto in una lista di coalizione con repubblicani e socialdemocratici, uscita vittoriosa nelle elezioni amministrative del 27 maggio 1951.
In un periodo in cui le passioni politiche e le polemiche erano ben più spinte del momento attuale, seppe essere esempio di tolleranza e di moderazione. Sindaco veramente di tutti: quante polemiche anche in Consiglio Comunale smorzate con una battuta conciliante!
Assertore dell’impegno politico come servizio, rinunciò alla pur modesta indennità di carica che anche allora era ammessa per i sindaci, impegnandosi a conciliare l’attività amministrativa con il suo lavoro di dirigente cooperativo in quel movimento che, per opera soprattutto di Giovanni Bersani, era sorto e tuttora prospera nel Bolognese.
Fu sindaco della ricostruzione: case popolari, scuole da rifare o costruire ex novo come quella di Biancanigo, iniziative per dare occupazione a chi non l’aveva e per istituire i primi servizi essenziali alla nostra comunità. Chi scrive queste righe, suo successore nel 1956, trovò costruito il primo lotto delle fognature e approvato il progetto generale, pronto per l’appalto l’acquedotto, impostati i lavori di ricostruzione del Palazzo Mengoni, della Piazza Bernardi e altre opere minori che fecero di Castelbolognese un vero cantiere di opere pubbliche.
Successivamente fu presidente delle Opere Pie, continuando nell’opera di potenziamento dell’azienda agricola e di sistemazione delle case coloniche. Se oggi l’azienda è attiva e condotta con criteri tali da reggere il confronto con le migliori aziende private, si deve anche all’opera di amministratori come Dino Biffi, che consideravano sacro il bene pubblico.
Non era certo per la spesa facile, ma per quella oculata, redditizia, da amministratore che agisce nel pubblico col criterio del «buon padre di famiglia».
Quando si scriverà la storia di Castelbolognese del secondo dopoguerra, è certo che un posto di rilievo spetterà a questo democratico e cristiano, a Dino Biffi, il cui ricordo è per noi di esempio nell’impegno quotidiano.

UN PUNTO DI RIFERIMENTO

di Natalino Guerra

Per noi, usciti ventenni dalla guerra e dalla Resistenza, Dino Biffi era un punto sicuro di riferimento a Castelbolognese, come lo erano Zucchini a Faenza, Montanari a Lugo, Masoni a Russi, Cristofori a Solarolo, Brusa a Bagnacavallo, Castellucci, Massaroli e Zaccagnini a Ravenna. Noi potevamo contestarli e li contestammo per alcune idee e per alcuni indirizzi, veri o supposti, ma sempre e comunque erano naturalmente le nostre guide nel partito, nelle istituzioni e nel paese.
Dino Biffi era forse il più schivo di tutti. Mai un pretendere, sempre un sorridere, mai un chiedere, sempre un donare, mai un condannare, sempre un amare. Ovunque se stesso, nella famiglia e nella società, nella Chiesa e nelle opere parrocchiali, come imprenditore economico e come Sindaco di tutti.
Nel rosso dilagante ed egemonico in Romagna fu uno dei primi Sindaci «bianchi» in provincia di Ravenna: in punta di piedi entrò in Municipio, dopo cinque anni di ottima Amministrazione in punta di piedi ritornò nella sua casa, a lavorare, ad amare, a pregare. Nessuna ipoteca per il futuro, nessun rimpianto per il passato: la politica era sempre e solo servizio. Era forse un uomo di un’altra generazione.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *