Novembre 1944: l’inizio dell’apocalisse

di Paolo Grandi

Ai primi di novembre 1944 il fronte finalmente raggiunse a Forlì ma per liberare la città ci vollero addirittura alcuni giorni e così mentre l’aeroporto fu conquistato nella notte tra il 7 e l’8 novembre, i carri armati della North Irish Horse entrarono in Piazza Saffi solo sabato 11. Il meteo non aiutò sicuramente l’avanzata: dopo l’esondazione del Senio a fine ottobre, sono segnalate piogge abbondanti per tutta la prima decade e poi tutto il mese continuò con brevi sprazzi di sereno e tanto maltempo.
Nelle campagne di Castel Bolognese i tedeschi erano in piena attività per rafforzare le difese, piazzando ovunque pezzi di artiglieria e sparando pesantemente a lunghi intervalli verso levante; ad ogni tiro rispondeva l’artiglieria inglese. Le case di campagna lungo il Senio furono in gran parte state fatte sfollare ed i contadini si rifugiarono dove possibile, ma essendo autunno inoltrato e in previsione dell’inverno cercarono riparo nelle cantine cittadine. I guastatori tedeschi seminarono le mine e scavarono ovunque buche e trincee per posizionarvi cannoni e mitragliatrici. Angelo Donati tuttavia segnala che il morale della truppa era basso, spesso questi soldati erano laceri ed affamati ed assieme agli Ufficiali dediti al vino e alle ubriacature. La popolazione di campagna era atterrita: gli animali da cortile furono facile preda per gli oppressori e le povere “Arzdore” costrette, anche sotto il tiro delle armi a cucinarli per la truppa. In città invece i maschi presenti, specie i più giovani non ancora atti al servizio militare o gli anziani ancora attivi erano oggetto di rastrellamento da parte degli occupanti ed erano costretti al lavoro forzato per esigenze militari.
Mezzi corazzati furono posizionati anche nel centro urbano. Angelo Donati riferisce che un carro armato si muoveva in città sparando da punti diversi per non farsi individuare. Secondo don Garavini ve n’era più d’uno, rifugiati sia sotto i loggiati di Palazzo Mengoni che sotto quelli della via Emilia ed uno, manovrando, urtò la Torre civica, quasi ai piedi dell’arco verso la piazza producendovi una grave lesione. Qualche testimone riferisce che un carro armato sprofondò nella cantina dell’osteria di Badò sulla via Emilia.
“Pippo” intanto continuava a volare quasi quotidianamente, segnando la linea del fronte e gli obiettivi da colpire; di giorno fioccavano le granate inglesi che caddero in gran parte nelle campagne. La notte, i riflettori germanici puntavano sulle colline vicine al Senio facendo tutto il giro della cerchia fino alla Vena del gesso e verso Bologna; e perciò spesso non c’era pace per i castellani, svegliati dalla sirena perché giungevano sempre numerose le granate inglesi; quindi molti preferirono iniziare a trascorrere la notte nelle cantine. I tiri incrociati di artiglieria si intensificarono nella seconda metà del mese ed il giorno 28 novembre, come annota il giovane Franco Ravaglia nel suo diario, caddero le prime due granate nel centro di Castel Bolognese. L’attività si ripeté anche nei giorni seguenti ove vi furono pure bombardamenti che provocarono gravi danni specialmente nel Borgo, e qualche ferito. I primi feriti del centro, trasportati dalla Squadra di Pronto Soccorso, furono Igino Sgalaberni ed Aldo Castellari. Curioso il loro ferimento: lo Sgalaberni gestiva assieme alla moglie Romana Zannoni una tabaccheria sotto il portico della Via Emilia, adiacente all’attuale Farmacia Ghiselli. Lo spaccio era chiuso ed i gestori assieme al Castellari si trovavano in cucina, posta nel retrobottega. Cadde una granata sulla via Emilia ed una scheggia trapassò la saracinesca e la vetrina della tabaccheria, si diresse in cucina sfondandone la porta, si piantò nella coscia dello Sgalaberni, trapassandola e poi fermandosi nella gamba del Castellari. Ma le schegge provocarono anche una vittima, seppur non umana: il maiale che le Monache Domenicane avevano ingrassato nel loro cortile e che contavano di macellare per Sant’Antonio.
Dato che il centro urbano era diventato un bersaglio per i bombardieri e quindi era necessario liberare i luoghi colpiti dalle macerie, salvare i feriti, recuperare i morti e mettere in sicurezza le rovine, il 30 novembre il Commissario Prefettizio del Comune mobilitò Arnaldo Cavallazzi perché costituisse e dirigesse la squadra di soccorso dell’UNPA (Unione Nazionale Protezione Antiaerea), che senza alcun compenso si occupò di dare questi soccorsi e inoltre svolse servizio antincendio e anticrollo, tra molti pericoli (lo stesso Cavallazzi restò ferito a un piede da una scheggia di granata, e due componenti della squadra, tra cui suo genero Ariovisto Liverani, morirono). Salvò inoltre dalla completa distruzione l’Archivio comunale e l’affresco di Girolamo da Treviso della Chiesa di S. Sebastiano, colpita dai bombardamenti. La Squadra UNPA operò fino al 15 maggio 1945.
Anche l’Ospedale, pur tra enormi difficoltà, continuava a rendere il suo servizio sotto la direzione del dott. Carlo Bassi, il quale, così riferiva mio padre, non disdegnò di salvare qualche sospetto collaborazionista e/o antifascista ricoverandolo in Ospedale e facendolo poi trasferire a Imola per maggior sicurezza, naturalmente rischiando anche la vita. E sempre mio padre riferiva che capitò una di queste persone che occorreva trasferire in fretta a Imola, compito in quel momento ancora riservato alle ambulanze dell’Esercito Tedesco. Il Capo Posto Militare tuttavia, vedendo il (finto) ammalato, non ne ritenne così urgente il trasferimento ed ebbe un alterco col dott. Bassi, il quale, di tutto punto, vergò un certificato medico ove lo si diceva affetto da una malattia contagiosa (ed i Tedeschi erano terrorizzati di essere contagiati da qualsiasi malattia) e grave che clinicamente si nominava cutis anserina (pelle d’oca!). Il soldato non capì l’inganno e tosto un’ambulanza partì di gran carriera per l’Ospedale di Imola con il finto ammalato.
In novembre continuarono anche i saccheggi promossi dai tedeschi ma seguiti dalla popolazione: il primo novembre toccò alla villa Centonara, sul viale Cairoli e alla segheria dei fratelli Villa al Serraglio; il giorno seguente fu preso di mira il laboratorio di maglieria della ditta “Sgarbanti” di Bologna, posto nel Palazzo Ginnasi sulla via Emilia. Prima cominciarono a svaligiare i tedeschi, in seguito sempre in base al principio che “se non la prendo io la portano via o la distruggono i tedeschi” una vera folla imbestialita diede l’assalto al residuo.
Nonostante l’incombente pericolo si tennero ugualmente le Funzioni per il giorno dei Santi e dei Morti e nella chiesa del Suffragio, riparata e tamponata nelle varie parti lesionate la notte del 28 settembre, si celebrò anche l’Ottavario dei Defunti. La terza domenica di novembre si fece l’ultima festa in San Petronio: quella di Sant’Omobono e la sera del 28 novembre in un San Francesco già lesionato iniziò la Novena dell’Immacolata, che tuttavia si interruppe dopo tre giorni a causa dei bombardamenti.
Verso fine mese Brisighella fu liberata ed il comando alleato stava pensando ad una sosta del fronte per far passare l’inverno. I Castellani ricevettero la notizia tramite “Radio Londra” che si ascoltava nelle cantine e sperarono che ciò avvenisse dopo la liberazione della nostra città. Ma non fu così e l’apocalisse maturò nei mesi successivi.

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