Testimonianza di Maurizio Contarini
Il Brigadiere Maurizio Contarini, oggi in pensione, era allora in forza alla stazione dei Carabinieri di Castel Bolognese e fu uno dei primi agenti della forza pubblica ad arrivare sul luogo del sinistro. I ricordi che seguono furono da lui pubblicati sul periodico “Vita Castellana” n. 5 pubblicato nel mese di aprile del 1987.
Venticinque anni fa, 8 marzo 1962, ore 1,57: la data di una tragedia. Un treno passeggeri, proveniente dal sud, sta per entrare in stazione a Castel Bolognese a novanta all’ora. Deve cambiare binario per dei lavori in corso e lo scambio, abbastanza brusco, consente una velocità massima di trenta chilometri. Il macchinista probabilmente dimentica la disposizione ricevuta e non diminuisce la velocità. È il disastro. Dei circa milleduecento passeggeri, tredici muoiono e circa cento rimangono feriti.
Fui fra i primi ad accorrere in stazione e ogni ora di quel giorno rimane ancora difficile da dimenticare.
Sul marciapiede vidi il corpo senza vita di un militare e seppi dopo che era stato scaraventato lì dal tremendo urto fra le carrozze fracassatesi una contro l’altra. A una distanza di circa cinquanta metri, nel buio, intravidi la locomotiva adagiata su un fianco e, più indietro, capovolta, la prima carrozza ove mi diressi. Nel buio completo e fra la confusione generale di gente che correva, urlava e invocava aiuto, mentre mi avventuravo fra i grovigli delle lamiere, mi sentii ferrare le gambe; due mani mi strinsero e una voce invocante disse: “mi salvi… non posso muovere le gambe… sono nella toilette”. Mi resi conto di un uomo a testa in giù con le gambe incastrate fra le lamiere proprio all’altezza del mio viso. Assieme a Stefano Bruni, un giovane che abitava vicino e che era sbalzato dal letto e accorso dopo aver sentito il tremendo schianto, cercai di districare il poveretto riuscendo solo a liberargli una gamba. Per liberarlo completamente fu necessario aspettare i Vigili del Fuoco che vi riuscirono con l’uso della fiamma ossidrica.
Stefano ha tuttora vivo il ricordo del viso stravolto di quell’uomo e delle sue gambe stritolate dalle lamiere. Ricorda che poi, con altri, scandagliò lo scompartimento in cui Romano Scardovi liberò e gli passò una bambina di tre o quattro anni apparentemente illesa; estrasse in seguito un uomo ferito che era il babbo della piccola. La madre risultò fra i deceduti.
Il Carabiniere Speranzoni, mentre si apprestava verso una delle carrozze per portare il suo aiuto, vide un uomo, ancora vivo che giaceva fra i binari e che gli spirò fra le braccia mentre attendeva la barella su cui adagiarlo.
Ricordo, in quei primi tragici momenti, le invocazioni d’aiuto provenienti da ogni parte, le grida agghiaccianti di chi cercava qualcuno, la disperazione di chi si rendeva conto della sorte di qualche congiunto. Mancavano barelle, torce elettriche e palanchi per districare le lamiere. Poi, essendosi la notizia della tragedia diffusa in fretta, nonostante l’ora, accorsero numerosi Castellani. Affluirono da Imola, Faenza e altre città mezzi di soccorso fino ad essere in sovrappiù e, fra i sibili di sirene che svegliarono tutto il paese, i soccorsi furono celermente portati a termine mostrando scene sempre più agghiaccianti man mano che si estraevano i cadaveri.
Le prime luci dell’alba portarono l’allucinante quadro della tragedia. Il convoglio, accavallato, era fra un groviglio di lamiere, pali e cavi, e binari divelti e conficcati come lance nel ventre di carrozze. Una di queste era finita contro la casa di Masotti e un’altra nel podere “Borgo”. Il vagone bagagliaio, sventrato, aveva rovesciato il contenuto dappertutto; dalle gabbie fracassate erano scappati polli e pulcini che vagavano in mezzo a quella desolazione. Il canale sottostante la ferrovia venne successivamente scandagliato per un lungo tratto alla ricerca di eventuali vittime in quanto diverse furono le denunce di persone non rintracciate.
Col passare del tempo, sullo scenario di morte si avvicendarono disordinatamente tante persone che, uscite illese dal disastro, si preoccupavano di recuperare i loro bagagli e non poca fatica occorse per dare ordine a quelle operazioni e calmare la rabbia di chi era ancona in preda allo sconvolgimento (Tarlazzi racconta che poco dopo il deragliamento, i ferrovieri Balestrazzi e Monti dovettero abbandonare in fretta lo stabile vicino la Stazione, ove prestavano servizio, perché minacciati da un gruppo di passeggeri che li ritenevano responsabili). Ogni qualvolta sono poi successe simili tragedie, spesso purtroppo causate da mano terrorista, in quelle occasioni, io ho rivisto i volti stravolti e terrorizzati dei passeggeri del treno di Castel Bolognese. Ho sentito le stesse grida, gli stessi lamenti strazianti di quell’uomo che io e Stefano non siamo riusciti a liberare. Ho rivisto le tredici salme, tra cui molte sfigurate e ricomposte dalla mano pietosa del necroforo Egisto Lasi (che è stato anche uno dei primi più validi soccorritori), allineate nella Chiesa di S. Francesco e attorniate dai congiunti straziati.
Stesse scene, stesso dolore, stesse vittime, con la differenza che quelle di Castel Bolognese sono state pressoché dimenticate, e una semplice lapide, avrebbe potuto essere memoria di pietà umana e monito affinché simili tragedie non abbiano a ripetersi.
Maurizio Contarini
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