“Risento la stretta di una mano ancora nella mia, calda e forte”: i castellani in soccorso dei soldati italiani sbandati dopo l’8 settembre 1943
di Andrea Soglia
Uno dei primi effetti dell’armistizio dell’8 settembre 1943 fu quello di lasciare i tanti soldati italiani in balia degli eventi e, soprattutto, nel mirino degli ex-alleati tedeschi che, da amici, divennero improvvisamente nemici. I ragazzi italiani si trovarono spesso allo sbando, non solo sui vari fronti esteri ma anche in Italia, e in grave pericolo. Uno dei primi modi per tutelarsi era quello di disfarsi dell’uniforme militare e di indossare abiti civili. E anche nel territorio di Castel Bolognese ci fu un movimento della popolazione, in parte spontaneo e in parte organizzato, per fornire ai tanti ragazzi i vestiti necessari. Erano giovani di passaggio, magari sulla via del ritorno a casa, e dopo quel breve contatto difficilmente si sarebbero fatti vivi con i loro occasionali benefattori, di cui spesso ignoravano il nome.
Tanti soldati italiani non fecero a tempo a confondersi fra il resto della popolazione e ben presto furono fatti prigionieri dai neo-occupanti tedeschi, con la terribile prospettiva di essere deportati in un campo di concentramento nazista. Di due di questi soldati, in sosta a Castello dopo essere stati catturati, rinchiusi per qualche giorno dentro la scuola elementare (oggi intitolata a Carlo Bassi), divenuta base dei tedeschi, ci rimangono i nomi e le storie, perché, a guerra finita, si rifecero vivi in qualche modo con chi li aveva aiutati. Se in un caso il contatto pare essere stato occasionale, nell’altro la corrispondenza, pure se a fasi alterne, arrivò fino agli anni ’90. Lasciamo alle lettere in nostro possesso il racconto delle due vicende, che non escludiamo possano essersi svolte in contemporanea o in rapida successione con dinamiche identiche.
Nell’archivio parrocchiale di San Petronio è conservata questa lettera:
“Egregio Signor Arciprete,
il 13 ottobre dell’anno 1943 proveniente da Bastia sostai alcuni giorni costì nelle scuole quale prigioniero dei tedeschi. Dopo due o tre giorni di permanenza potei sfuggire smettendo l’abito militare cambiato con indumenti borghesi fornitimi gentilmente da una famiglia poco distante dalle scuole. Ai signori che ci usarono la cortesia di offrirci il modo di fuggire alla prigionia promisi che avrei mandato gli abiti appena le cose si sarebbero cambiate. Ora intenderei inviarli a mezzo posta ma ho perduto l’indirizzo datomi da loro. Essi però hanno il mio nome e cognome. Vi chiederei perciò il favore o di dirlo in Chiesa o di chiedere nelle vicinanze delle scuole se si ricordassero di aver dato gli abiti al sottoscritto Maresciallo Castagna Giovanni di Ceresara Mantova. Uscendo dalle scuole si piegava a destra e poi dopo un po’ a sinistra si entrava in un vicoletto e si accedeva a una bella casa signorile (senza cancellata) con piccolo atrio. V’è anche il salotto in vimini, per arrivare al quale occorre passare per la cucina.
Il signore (circa 45-46 anni) conosceva due signori del mio paese (Sig. Imperatori e Sig. Sbarbada) che sono due dottori in veterinaria. La sua mamma (65 circa) è una signora distinta, corporatura piuttosto tarchiata, al momento della fuga mi consegnò un vestito di lana fresco grigio chiaro, e camicia bianca.
Le sarei grato se volesse interessarsi della cosa e scrivermi quanto prima qualche cosa in merito.
Ringraziandola le invio ossequi.
Castagna Giovanni
Ceresara (Mantova)”
Gli sviluppi successivi non li conosciamo, e non sappiamo nemmeno se gli ignoti benefattori fossero poi scampati alla lunga sosta del Fronte lungo il Senio. Di certo, aiutando il soldato Giovanni Castagna nella fuga, avevano rischiato la loro stessa vita.
Gli stessi rischi li avevano corsi i coniugi Francesco e Domenica Cortecchia e il loro giovane figlio Carlo, di 16 anni, quando aiutarono contemporaneamente due soldati originari dell’Istria, Joakim (Gioacchino) Hekić Bratulić e Giovanni Sterpin. Paolina Pini, moglie di Carlo Cortecchia, ha conservato le lettere e le cartoline più recenti (le più datate sono irreperibili) spedite da Gioacchino Hekic e ce le ha messe a disposizione. Una lettera in particolare, datata Pola 26 febbraio 1991, ci permette di capire che i rapporti fra Gioacchino e la famiglia Cortecchia si erano mantenuti a lungo salvo poi interrompersi. Fu Gioacchino a riallacciarli e non si arrese nemmeno quando la lettera gli era ritornata indietro in quanto l’indirizzo era sconosciuto: Carlo Cortecchia si era trasferito e suoi genitori erano mancati rispettivamente nel 1975 e nel 1984. Fondamentale fu di nuovo il ruolo della parrocchia: Gioacchino prese la lettera e la mise in un’altra busta indirizzandola al parroco… e naturalmente il nostro don Gianni Dall’Osso impiegò poco a farla avere a Carlo. Riportiamo il testo:
“Signora Cortecchia Domenica
possiedo tutte le quattro lettere di Lei: 12.2.1946, 26.11.1950, 23.8.1961 e 28.9.1964, che poi sono un po’ la storia di Castel Bolognese, da quando con il suo nobile aiuto mi aiutò ad evadere dalla prigionia dei germanici, vestendomi in borghese come fece anche per il mio compagno Giovanni Sterpin, e da dove ci siamo messi per il ritorno in Istria, senza alcun documento.
Prima di questo nel locale ove ci trovavamo, ci portarono vostri generosi cittadini una cena e con loro vennero due sacerdoti: uno più anziano e uno più giovane. Ci si parlava fra noi che sono forse venuti per aiutarci a liberarci, e facevamo conto a dei due rivolgersi, ci siamo rivolti al più giovane pensando che per caso era cappellano militare e abbiamo indovinato, lui ci disse tutto è organizzato basta che entrate in una qualunque casa, sarete vestiti in borghese, e così abbiamo fatto venendo da Lei. Al giovane sacerdote gli dissi che possiedo una bottiglia d’inchiostro e se gli serve che gli do’ – disse proprio bene, non ho l’inchiostro nemmeno per i timbri -. Quando penso a Lei mi viene sempre in mente il ricordo di questi due sacerdoti. (Gli dia a leggere la presente). Il mio pensiero è la preghiera smpre per voi tutti.
Per Pasqua la cartolina della nostra città e con la chiesa della parrocchia ove stavo prima, poi della parrocchia pure.
Se la Madonna vuole al mio prossimo viaggio in Italia auspico che mi aiuti di raggiungervi costà e se voi e i sacerdoti venite qui non dimenticate di visitarmi.
Tanto per ora e in avvenire, spero in Dio di più.
Con immensa gratitudine e immutato affetto abbiate tutti i miei cordiali saluti.
vostro Gioacchino
a Pola lì 26.2.1991″
E’ facile ipotizzare che il sacerdote più anziano fosse padre Francesco Samoggia, che aveva svolto una pericolosa attività clandestina in favore dei prigionieri di guerra, per la quale subì poi l’arresto e rischiò la deportazione in Germania. Ci riesce difficile, invece, identificare il cappellano militare che, a quanto ricordava Carlo Cortecchia, era morto per mano tedesca. Paolina Pini ci ha riferito che, secondo quanto raccontava Carlo, i due prigionieri si erano calati da una finestra del primo piano della scuola elementare, che dava sul retro dell’edificio e Carlo li attese per accompagnarli a casa sua a cambiarsi di abito. Quanto fatto da Carlo non si limitò a questo, come si può leggere dalla risposta alla lettera, scritta da Paolina sotto dettatura di Carlo, della quale Paolina conserva la minuta in uno dei suoi quaderni. Ne riportiamo alcuni passaggi, da uno dei quali abbiamo tratto il titolo di questa pagina:
“Gentilissimo signor Gioachino,
rispondo alla gradita sua […].
Le persone che Lei ricorda purtroppo sono morte da tempo Domenica manca dal 1975, Francesco dal 1984. Mi presento a lei che le scrivo sono Paola moglie di Carlo figlio dei defunti, colui che in bicicletta l’aiutò in quei giorni bui lontani ma ancora tanto presenti nel cuore e nelle menti, la sua presenza giovane e piena di paura, di ansia del resto condivisa si rischiava la vita in due. E’ bello ricordare ora il passato riporta al presente l’umanità che legava gli uomini, valori ormai scomparsi nel tempo.
Ricordo Lei e un altro nella mia casa per un rapito cambio di abiti e via nella notte verso Imola in bicicletta verso casa si sognava ma la casa era lontana e i pericoli ancora tanti. Ora nel ricordo cerco un volto che non trovo ma risento la stretta di una mano ancora nella mia, calda e forte, un abbraccio un grazie fra le lacrime.
Spero che i documenti che a Lei servirono per la pensione e che nonno Francesco con l’aiuto del parroco di allora don Sermasi li procurò con amore e premura […]
Mi chiede del cappellano militare. Lui morì per mano tedesca […]
Speriamo sempre bene per un domani sicuro di nuovo un abbraccio una stretta di mano Carlo e da mia moglie Paola che ha scritto quanto io ho dettato a lei un risentirci mi raccomando non sbagli indirizzo”.
A questa lettera seguirono alcune cartoline fino al 1994, poi il silenzio. Carlo Cortecchia è morto nel 2012.
Le storie di Gioacchino e di Giovanni (di cui speriamo di trovare, in futuro, ulteriori notizie biografiche), e dei castellani che li aiutarono generosamente, e non senza rischi, meritavano un breve ricordo. Rientrano in quelle decine di piccoli ma grandi gesti che hanno contribuito a far avere a Castel Bolognese la medaglia d’argento al merito civile. Storie che negli archivi non risultano e che sono un patrimonio da tutelare. E che a nostro avviso sono assai più affascinanti della inflazionata storia militare del conflitto che ha sempre dimenticato le singole persone.
Si ringrazia sentitamente Paolina Pini per il materiale fornito
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